Ai fini della prova del reato di indebita compensazione non è necessaria la produzione in giudizio dei modelli F24 effettivamente utilizzati per il pagamento dell'imposta dovuta: la prova può essere fornita in qualunque altro modo.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione, Terza sezione penale, con sentenza n. 30773 del 15 settembre 2025.
La decisione della Corte affronta nuovamente il tema della prova del reato di indebita compensazione previsto dall’articolo 10-quater del Decreto legislativo n. 74/2000.
Il caso riguardava il legale rappresentante di una società, già condannato dal Tribunale e dalla Corte d’Appello per avere compensato crediti ritenuti inesistenti o non spettanti.
Il ricorrente aveva proposto ricorso per Cassazione deducendo violazioni di legge e vizi di motivazione, sostenendo in particolare la necessità di acquisire ulteriori documenti, tra cui i modelli F24 e il Libro Unico del Lavoro.
L’aspetto più rilevante della decisione riguarda la ricostruzione della prova del reato.
La Corte, sul punto, ha ribadito che, ai fini dell’integrazione della fattispecie, è sufficiente accertare l’utilizzo in compensazione di un credito inesistente o non spettante, anche sulla base della documentazione prodotta dall’Amministrazione finanziaria nel corso dell’attività di verifica.
La prova non richiede necessariamente la produzione in giudizio dei modelli F24 in formato cartaceo: ciò che rileva è la possibilità di ricostruire, con adeguato grado di certezza, l’effettiva utilizzazione del credito e la sua natura indebita.
Sul punto, la Suprema corte ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24254/2024) secondo cui:
Secondo la Corte, in altri termini, occorre distinguere due piani:
Il giudice penale non è vincolato alla necessaria acquisizione dell’atto formale di compensazione, qualora l’istruttoria fiscale abbia già consentito di individuare gli importi compensati e la natura dei crediti utilizzati.
Il sistema penale, infatti, si fonda sul principio del libero convincimento del giudice, che può basarsi su ogni elemento utile e coerente acquisito nel procedimento.
Altro punto decisivo per la controversia riguarda l’onere probatorio in capo alla difesa.
La Cassazione sottolinea che, una volta ricostruito il quadro compensativo sulla base degli accertamenti fiscali, incombe sull’imputato l’onere di offrire elementi concreti idonei a smentire tali risultanze.
Nel caso esaminato, la difesa si era limitata a contestare l’assenza di determinati documenti senza tuttavia produrre alcun elemento utile a dimostrare l’esistenza di errori nei conteggi o la spettanza dei crediti.
Il ricorso, privo di specificità e ripetitivo rispetto ai motivi di appello, non aveva quindi scalfito la ricostruzione dei giudici di merito.
La Corte di cassazione, in conclusione, ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
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