Infortuni sul lavoro. Il risarcimento una tantum non deve riferirsi alla speranza di vita dei sessi

Pubblicato il 05 settembre 2014 La Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 3 settembre 2014, causa C -318/13, a proposito di una norma finlandese, ha affermato che la Direttiva 79/7/CEE sulla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale osta ad una normativa nazionale che preveda, ai fini del calcolo di una prestazione previdenziale versata per un infortunio sul lavoro, l’applicazione, quale fattore attuariale, della differenza di speranza di vita tra gli uomini e le donne, nel caso in cui l’applicazione di tale fattore faccia sì che il risarcimento versato una tantum a titolo di tale prestazione risulti inferiore, quando sia concesso ad un uomo, rispetto a quello che percepirebbe una donna di pari età che si trovi in situazione analoga.

La questione posta alla base dell’intervento della Corte è la modalità finlandese di calcolo dell’importo del risarcimento dovuto per le lesioni derivanti da infortunio sul lavoro, versato una tantum sotto forma di indennità forfettaria.

Tale calcolo viene effettuato in funzione dell’età del lavoratore e delle speranze di vita media residua del medesimo, tenendo conto del sesso.

E’ pacifico, evidenziano i giudici di Lussemburgo, che, per effetto delle suddette modalità di calcolo dell’indennità forfettaria, una donna di età pari a quella di un uomo che avesse subito, nello stesso giorno, un identico infortunio sul lavoro, da cui fossero derivate le stesse lesioni, avrebbe diritto ad un’indennità forfettaria superiore rispetto all’uomo.

Quindi il calcolo dell’indennità in questione non può effettuarsi sulla base di una generalizzazione relativa alla speranza di vita media degli uomini e delle donne perché una simile generalizzazione conduce ad un trattamento discriminatorio degli assicurati di sesso maschile rispetto a quelli di sesso femminile.
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