Intestazione fittizia. Prestanome non per forza “impossidente”

Pubblicato il 12 aprile 2012 Con sentenza n. 13421 dell’11 aprile 2012, la Cassazione ha ribaltato la decisione con cui il Tribunale del Riesame di Napoli aveva annullato l'ordinanza di custodia cautelare disposta dal Gip nei confronti di due indagati per il reato di intestazione fittizia.

Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso presentato dal Pubblico ministero secondo il quale la circostanza che il soggetto “prestanome” non fosse “impossidente” non serviva ad escludere a priori gli indizi del suo coinvolgimento nell'operazione criminosa. Ed infatti – si legge nel testo della decisione - la figura di chi riceve i beni o i valori “non necessariamente deve essere quella canonica dell'impossidente che, proprio perché tale, è disposto a fungere da "testa di legno". Anzi, “la stessa realtà delle organizzazioni criminali dimostra che esse hanno tutto l'interesse a coinvolgere in operazioni interpositorie soggetti che abbiano una propria autonoma capacità imprenditoriale”.

Contestualmente, la Suprema corte ha, altresì, sottolineato come il reato di intestazione fittizia con finalità di riciclaggio possa configurarsi anche in presenza di cessione parziale delle quote di una società. E difatti, né il tenore letterale né la ratio legis della fattispecie autorizzano a ritenere che sia penalmente illecita, ai sensi dell'articolo 12-quinquies del Decreto legge 306/92, solo l'intestazione fittizia della totalità di uno o più beni.
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