La contrattazione collettiva non può vietare il lavoro intermittente

Pubblicato il 09 febbraio 2021

Lavoro intermittente: campo di applicazione e ruolo della contrattazione collettiva. E' il tema affrontato dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro nella circolare n. 1 dell'8 febbraio 2021. La circolare dell'INL fa proprio il nuovo indirizzo interpretativo seguito dal Ministero del lavoro, aggiornando le precedenti istruzioni sul lavoro intermittente alle recenti pronunce giurisprudenziali in materia.

Lavoro intermittente e ruolo della contrattazione collettiva

Una prima indicazione riguarda il ruolo svolto dalla contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro intermittente.

Il riferimento specifico è all’art. 13 del Jobs Act (D.Lgs. n. 81/2015, di riordino dei contratti di lavoro) che affida alla contrattazione collettiva il compito di individuare le specifiche esigenze che giustificano il ricorso al lavoro intermittente “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell'anno”.

Al riguardo il Ministero del lavoro si era precedentemente pronunciato con la risposta ad interpello n. 37 del 2008 e con la nota prot. n. 18194 del 4 ottobre 2016, le cui indicazioni si ritengono ora superate alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 29423 del 13 novembre 2019 e delle note prot. n. 930 e n. 931 del 1° febbraio 2021.

Nella sentenza citata i giudici di legittimità "chiamano in causa" l’art. 34, comma 1, della riforma Biagi (D.Lgs n. 276 del 2003) che conteneva la regolamentazione del contratto di lavoro intermittente. L'articolo è stato  abrogato dal Jobs Act. (D.Lgs. n. 81 del 2015) che ne ha riformulato (artt. 13-18) la disciplina, senza però alterarne i tratti caratteristici che restano confermati.

La Suprema Corte rileva che “l’art. 34, comma 1, D.Lgs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione collettiva la individuazione delle <<esigenze>> per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale". Si tratta di un passaggio interpretativo che il Ministero del lavoro fa proprio rilevando come “alle parti sociali non sia stato riconosciuto alcun altro potere al di fuori di tale particolare aspetto e, in special modo, il potere di interdire l’utilizzo di tale tipologia contrattuale nel settore regolato”.

Da ciò discende, per l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, la conseguenza che gli ispettori del lavoro, nel corso dell'attività di vigilanza, non dovranno tenere conto di eventuali clausole sociali che si limitino a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente. In presenza di tali clausole, gli ispettori saranno tenuti invece a verificare l'ammissibilità del ricorso al lavoro intermittente in base all'applicazione delle ipotesi c.d. oggettive, individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 ovvero delle ipotesi c.d. soggettive, ossia “con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.

Lavoro intermittente e autotrasporto

La seconda questione oggetto di chiarimento da parte dell'INL attiene alla possibilità di ricorrere al lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto, settore per il quale la contrattazione collettiva non individua le “esigenze” per le quali è possibile stipulare il contratto intermittente.

In tale ambito gli ispettori, fatta salva l'eventuale sussistenza di ipotesi soggettive, dovranno fare riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923. La tabella, nell'elencare le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, al punto 8 cita infatti il “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”, ove - ha sottolineato il Ministero del lavoro - la "discontinuità" è riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto al personale adibito al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.

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