La “fine lavoro” nelle costruzioni edili consiste nell’esaurimento di una fase

Pubblicato il 05 marzo 2015 In un’impresa edile, anche qualora i lavori non siano del tutto ultimati, ma residuino lavori inerenti opere accessorie e residuali, oggetto di contratti di subappalto, è giustificato il licenziamento dei dipendenti assunti per l’esecuzione del contratto di appalto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, con sentenza n. 4349 del 4 marzo 2015, sostenendo che, nel caso di specie si tratta di licenziamenti giustificati dall'esaurimento delle attività lavorative per cui erano state disposte le assunzioni, con l'ulteriore conseguenza dell'inapplicabilità della disciplina sui licenziamenti collettivi, prevista dalla Legge n. 223/1991.

Correttamente la Corte territoriale ha, quindi, applicato i principi sanciti dalla Suprema Corte, secondo cui la fine lavoro nelle costruzioni edili - che, a norma dell’art. 24 della Legge 23 luglio 1991 n. 223, esclude l'applicabilità delle procedure per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale - non consiste nella cessazione dell'attività dell’impresa o nel compimento dell'opera, ma nell'esaurimento di una fase dei lavori, in relazione all’esecuzione dei quali i lavoratori, anche per loro peculiari professionalità, erano stati assunti, che comporta il venir meno della utilità dell'apporto dei medesimi lavoratori all'attività dell'impresa edile (Cass., n, 9657 del 26/09/1998; Cass., n. 8506 del 22/06/2000; Cass., n. 2782 del 06/02/2008).
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