La Ue boccia l’Iva italiana

Pubblicato il 15 settembre 2006

Le attese di bocciatura, ad opera della Corte di giustizia europea, del regime italiano di indetraibilità dell’Imposta sul valore aggiunto sui veicoli aziendali non utilizzati per i fini principali dell’impresa si sono concretizzate nella dichiarazione di illegittimità della normativa nazionale che da più di 25 anni limita il diritto dei soggetti passivi a detrarre l’imposta su queste spese, decretata ieri dalla sentenza 14/9/2006, Causa C 228/05. Pesantissimo colpo per le casse erariali, considerato che non ha ravvisato i presupposti per l’esclusione degli effetti retroattivi della pronuncia; perciò, i contribuenti potrebbero ottenere rimborsi pregressi che, dietro una stima del Governo, ammonterebbero a ben 15miliardi di euro (cifra non dimostrata e considerata esagerata).

Stupisce che al italiano non siano bastati 27 anni per adeguarsi alle regole indicate in modo assolutamente chiaro dall’Unione europea, che aveva ammesso solo “in via transitoria” e per problemi congiunturali i limiti alla detrazione dell’Iva sulle autovetture aziendali. S’apre, ora, una fase complessa che impone al Governo di trovare il giusto equilibrio tra il diritto dei contribuenti a vedere correttamente applicata la sentenza e la difficile opera di risanamento dei conti pubblici.

La riconosciuta detraibilità dell’Iva sulle auto aziendali determina effetti negativi sulle imposte dirette: il costo, ai fini dell’ammortamento, diminuisce della parte di Iva che diviene, per l’appunto, detraibile. Ciò vale pure per i costi di gestione, rappresentati da spese di funzionamento e manutenzione: a fronte dell’Iva detraibile, il costo deducibile ai fini delle imposte dirette diminuisce, come il risparmio d’imposta. Questo effetto si produce, in particolare, nelle ipotesi in cui il costo dell’autovettura e quello di gestione sia integralmente deducibile, mentre negli altri casi l’effetto negativo potrebbe non verificarsi per via del limite di deducibilità di 18.075,99 euro.

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