L’accessorietà dell’attività svolta fa considerare esclusa la sussistenza della stabile organizzazione

Pubblicato il 04 ottobre 2010

La questione dell’individuazione in Italia di stabili organizzazioni di società estere occulte, all’interno di società di diritto italiano facenti parte dello stesso gruppo internazionale, sta facendo discutere i verificatori dell’Amministrazione finanziaria e i collegi giudicanti che spesso, a tal proposito, hanno commesso degli errori. Il caso più recente è quello della Ctp di Pesaro, che con la sentenza 210/2010 ha confermato la presenza in Italia di una stabile organizzazione di diritto lussemburghese appartenente ad un gruppo multinazionale operante nel settore calzaturiero, senza seguire le indicazioni dell’agenzia delle Entrate circa la non influenza dell’accessorietà delle attività esercitate. Il caso di specie ha, quindi, suscitato clamore dato che i giudici di merito non hanno rispettato le posizioni assunte in precedenza dalla Cassazione né, tantomeno, applicato i fattori di comparabilità stabiliti dalle linee guida Ocse.

Per tali ragioni, specie dopo il caso Philip Morris e il più recente giunto alla cronaca della Ryanair, si è avvertita pressante l’esigenza di basarsi sui principi della giurisprudenza di merito per individuare le suddette fattispecie, imponendo così all’agenzia delle Entrate – in qualità di verificatore – di fondare gli atti impositivi in materia di stabile organizzazione su quegli elementi che risultano del tutto fisiologici nell’ambito del contesto giurisprudenziale internazionale.

Così, per poter correttamente individuare una stabile organizzazione estera in Italia è necessario che l’agenzia delle Entrate svolga un’accurata analisi dell’attività del soggetto da accertare, che tenga conto dell’assetto contrattuale tra le società del medesimo gruppo, della struttura organizzativa della società estera con lo scopo di valutare la congruità dei redditi accertati e dell’eventuale applicazione del metodo di transfer pricing più appropriato che porti alla valorizzazione del compenso delle attività svolte dalla stabile organizzazione tale da soddisfare il principio di libera concorrenza.

La critica alla recente posizione assunta dai giudici pesaresi si basa anche sul fatto che gli stessi non hanno applicato le conclusioni che la stessa agenzia delle Entrate ha offerto in occasione dell’emanazione della risoluzione n. 21/E/20009. Con tale documento di prassi era stata esclusa in via di principio la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia, con riferimento ad un caso del tutto analogo a quello ora esaminato, sulla base del fatto che l’insieme delle attività svolte dalla stabile organizzazione sarebbero state contraddistinte dall’accessorietà e, in quanto tali, sarebbero rientrate nelle ipotesi di esclusione di cui all’articolo 162, comma 4, del Tuir.

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