L’attribuzione di partita Iva ad una società estera non ipotizza il reato della truffa aggravata

Pubblicato il 14 giugno 2011 Con la sentenza n. 23667 della Terza sezione penale, depositata in data 13 giugno, la Corte di Cassazione conferma un orientamento già espresso alcuni mesi fa dalle Sezioni unite penali, in cui era risultato evidente il concorso tra reati tributari e truffa aggravata ai danni dello Stato. Tutto ciò, però, a patto che dalla truffa scaturisca un ulteriore e diverso profitto rispetto a quello ottenuto con l’evasione fiscale.

Nella nuova pronuncia, accogliendo il ricorso della difesa contro l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame di Bergamo aveva confermato la misura del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, in un procedimento per frodi carosello, la Corte si mostra di avviso diverso e non riconosce la misura della confisca per equivalente nelle frodi carosello attuate mediante la costituzione all'estero di società cartiere alle quali si attribuisce partita Iva.

Nella sentenza si legge che “a ben vedere, la costituzione di diverse società in Paesi esteri e l'attribuzione a queste ultime di partita Iva, l'interposizione di tali società, quali cartiere, nello schema di carosello ipotizzato dalla Procura, altro non sono che gli stessi passaggi che consentono, da un lato, di considerare le fatture contestate come soggettivamente inesistenti e dall'altro di considerare evasa l'Iva da parte delle società destinatarie finali della merce oggetto del giro di fatture contestato”. L’attribuzione di partita Iva non può essere indice qualificante dell’avvenuta truffa, dato che si tratta di un comportamento che difficilmente può incidere sul patrimonio dell'Erario. Dunque, per la Corte l'uso delle cartiere alle quali il contribuente italiano ha attribuito partita Iva non è altro che un reato fiscale e non una truffa ai danni dello Stato. Ne consegue la difficoltà di convalidare la confisca per equivalente.
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