Licenziamento. La sentenza per il pignoramento dei beni deve essere certa

Pubblicato il 03 settembre 2014 Un lavoratore licenziato che, a seguito di ricorso vinto, viene reinserito sul posto di lavoro non può pretendere un procedimento di espropriazione sui beni appartenenti alla società datrice per ottenere le retribuzioni maturate negli anni in cui era stato allontanato dal luogo di lavoro, se dalla sentenza con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’atto non vi è traccia del risarcimento allo stesso dovuto.

La sentenza che conferma la cancellazione del licenziamento illegittimo, infatti, non può essere considerata un titolo esecutivo, se in essa non è ben specificato il credito spettante al lavoratore.

Lo precisa la Corte di cassazione con la sentenza 18519/2014.

Titolo esecutivo certo

I Supremi giudici respingono il ricorso del lavoratore che si era rivolto al giudice dell’esecuzione per il pignoramento presso terzi.

Specifica la sentenza che il giudice dell'esecuzione deve essere messo nella posizione di risalire al dovuto: ossia la sentenza deve riportare i calcoli del dovuto o lo stesso deve essere chiaramente desunto dalle indicazioni relative alla mansione del lavoratore, alla sua qualifica oppure alla retribuzione percepita.

Il titolo esecutivo deve, infatti, fondarsi su elementi certi e definitivi che anche se non riportati espressamente in sentenza devono essere stati acquisiti dal giudice come sicuri e oggettivamente determinati e non desumibili da elementi esterni. Il giudice dell’esecuzione, al massimo, sulla base delle informazioni ricevute può limitarsi a fare un semplice calcolo matematico. Pertanto, senza un’indicazione precisa delle somme da pagare da parte del datore la sentenza non consente il pignoramento dei beni di quest’ultimo.
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