Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la scelta del datore di concedere il preavviso o di mantenere attivo il rapporto durante la conciliazione incide sul momento in cui si produce l’effetto estintivo, che può essere differito rispetto all'avvio della procedura.
Con la sentenza n. 15513 del 10 giugno 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro si è pronunciata in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO) e momento di produzione dell'effetto estintivo del rapporto di lavoro.
Nella sua disamina, la Cassazione ha chiarito che la fattispecie estintiva del rapporto di lavoro subordinato mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo è una fattispecie complessa strutturata in tre fasi.
Nella prima fase, il datore di lavoro comunica la propria intenzione di licenziare, specificando in modo vincolante il giustificato motivo oggettivo e attivando il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Segue una seconda fase, in cui si svolge il procedimento conciliativo, che si conclude con esito negativo.
Nella terza fase, il datore di lavoro adotta il provvedimento formale di licenziamento, dandone comunicazione al lavoratore.
È questa comunicazione finale – e in particolare la data in cui essa giunge nella sfera di conoscibilità del lavoratore (ai sensi degli artt. 1334 e 1335 c.c.) – a segnare il dies a quo per il calcolo del termine di decadenza previsto per l’impugnazione del licenziamento.
Quanto detto ai sensi dell'art. 1, comma 41, L. n. 92/2012 (Legge Fornero), che va interpretato in modo sistematico con l'art. 1, comma 40, della medesima legge e, quindi, con l'art. 7 L. n. 604/1966.
L’impugnazione del licenziamento - ha continuato la Corte - deve necessariamente avere ad oggetto l’intera sequenza degli atti che compongono la fattispecie.
In particolare, deve estendersi a entrambi gli atti datoriali, in quanto il giustificato motivo oggettivo risulta indicato sin dal primo atto, come espressamente richiesto dall’art. 7, comma 2, della Legge n. 604/1966. Tale norma impone al datore di lavoro di dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e di indicare i motivi che lo giustificano.
Di conseguenza, anche il controllo del giudice dovrà riguardare l’intera fattispecie complessa.
In primo luogo, l’analisi giurisdizionale si concentrerà sul primo atto, contenente la motivazione del recesso.
In secondo luogo, sarà oggetto di valutazione il procedimento conciliativo, con particolare attenzione al comportamento delle parti, rilevante:
Infine, il giudizio dovrà estendersi anche al secondo atto, ossia alla comunicazione finale di licenziamento.
A seguire, la Corte ha precisato che l'art. 1, co. 41, della Legge è norma derogabile in melius, ossia in favore del lavoratore subordinato, quanto all'individuazione del momento di produzione dell'effetto estintivo del rapporto di lavoro mediante licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tale norma va interpretata nel senso per cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo assume rilevanza giuridica sin dal momento di avvio del procedimento conciliativo, ma il lavoratore conserva il diritto al preavviso, sicché:
In ogni caso, la scelta del datore di lavoro di concedere il preavviso o di mantenere in essere il rapporto durante il procedimento conciliativo assume rilievo giuridico, in quanto posticipa il momento in cui si produce l’effetto estintivo del rapporto di lavoro derivante dal licenziamento.
La Corte di Cassazione, nella specie, ha esaminato un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, avviato dal datore di lavoro mediante comunicazione preventiva contenente i motivi del recesso e l’attivazione del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Durante lo svolgimento della procedura conciliativa – conclusasi con esito negativo – il lavoratore aveva presentato una richiesta di congedo straordinario biennale per l’assistenza a familiare disabile.
Il datore di lavoro aveva poi formalizzato il licenziamento con comunicazione successiva alla chiusura del tentativo di conciliazione.
La controversia era sorta in merito alla decorrenza dell’effetto estintivo del rapporto di lavoro e alla validità del licenziamento, considerata la domanda di congedo presentata nel frattempo.
In particolare, si discuteva se il rapporto fosse cessato alla data del primo atto (preavviso di licenziamento) o solo al termine della procedura conciliativa, e se la richiesta di congedo, intervenuta prima della cessazione effettiva, rendesse inefficace il recesso.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che il rapporto di lavoro si fosse estinto già con la comunicazione iniziale del licenziamento, ovvero alla data del preavviso, senza riconoscere effetti sospensivi alla procedura conciliativa né rilievo alla successiva richiesta di congedo straordinario. Aveva pertanto escluso l’illegittimità del licenziamento, rigettando la domanda del lavoratore.
Accolto il ricorso del lavoratore
Ebbene, la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, ritenendo che la Corte territoriale non si fosse uniformata ai principi sopra esposti, avendo attribuito alla norma una portata inderogabile, in realtà inesistente.
A fronte della corretta interpretazione normativa - ha precisato la Cassazione - la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare con attenzione il comportamento concreto del datore di lavoro, che non aveva interrotto il rapporto, ma aveva collocato il lavoratore in ferie fino al termine della procedura conciliativa, per poi formalizzare il licenziamento successivamente, attribuendogli effetto retroattivo alla data di chiusura della conciliazione.
In sintesi, la Corte territoriale aveva erroneamente escluso rilievo alla condotta del datore di lavoro, ritenendo inderogabile la norma sulla retroattività del licenziamento.
Tuttavia, nel caso concreto, l’effetto estintivo del rapporto non poteva coincidere con l’avvio del procedimento conciliativo, poiché il datore aveva mantenuto in essere il rapporto, esercitando una facoltà gestionale legittima con effetti rilevanti.
La Corte d’Appello, peraltro, aveva ritenuto irrilevante la domanda di congedo, assumendo che il rapporto fosse già estinto al momento della sua presentazione.
L’assenza di pronuncia su questo punto, tuttavia, giustificava il rinvio.
Caduto il menzionato presupposto interpretativo, infatti, i giudici dovranno ora verificare se la richiesta, presentata durante il “preavviso lavorato”, abbia determinato la sospensione del rapporto, con differimento dell’effetto estintivo del licenziamento.
La Corte territoriale, al riguardo, dovrà applicare il principio, già affermato dalla Cassazione, secondo cui la fruizione del congedo straordinario comporta un divieto di licenziamento legato alla necessità di assistenza a un familiare con disabilità grave.
Tale divieto non rende nullo il licenziamento per causa legittima, ma ne determina, al più, l’inefficacia fino al termine del congedo, garantendo la tutela del posto e del sostegno economico per tutta la durata dell’assenza, in analogia con la malattia.
Di seguito il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte:
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