Licenziato per un “mi piace” su FB? Violata la libertà di espressione

Pubblicato il 16 giugno 2021

Il licenziamento del dipendente per aver inserito un "mi piace" sotto alcuni contenuti di Facebook costituisce violazione della libertà di espressione.

E’ quanto sancito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, nel testo della sentenza del 15 giugno 2021 (ricorso n. 35786/19) con cui ha condannato la Turchia per la vicenda di una dipendente pubblica, licenziata per aver messo un “like” sotto alcuni contenuti pubblicati da terzi nel social network in questione.

Nel caso in esame, le autorità turche avevano ritenuto che le pubblicazioni incriminate fossero tali da turbare la tranquillità e la quiete del luogo di lavoro, per il fatto che in esse vi erano accuse ad insegnanti e statisti del Paese.

Libertà di espressione in ambito politico e su questioni di interesse generale

La Corte, rilevando che i predetti contenuti consistevano in critiche politiche dirette contro le presunte pratiche repressive delle autorità, in appelli e incoraggiamenti a manifestare per protestare contro queste pratiche, in espressioni di indignazione e di denuncia di presunti abusi sugli studenti, ha evidenziato che si trattava, essenzialmente e inequivocabilmente, di questioni relative ai dibattiti di interesse generale.

In proposito, è stato ricordato che l'articolo 10 della Cedu (sulla libertà di espressione) non lascia molto spazio alle restrizioni alla libertà di espressione in due particolari aree, quella del discorso politico e quella su questioni di interesse generale.

Per la Cedu, la commissione disciplinare, i tribunali e le autorità nazionali turche non avevano tenuto conto di tutti i fatti e delle circostanze di specie, giungendo alla loro conclusione che la condotta della ricorrente fosse tale da turbare la quiete e tranquillità del posto di lavoro.

Non erano state valutate, in tale contesto, le reali capacità del “mi piace” di avere conseguenze dannose sul luogo di lavoro della dipendente, tenendo conto del contenuto a cui si riferivano e in relazione al contesto professionale e sociale attinente.

Ciò posto, le ragioni addotte per giustificare la sanzione inflitta alla lavoratrice - risoluzione immediata del contratto di lavoro senza diritto di compensazione - non potevano essere considerate pertinenti e sufficienti.  

Sulla vicenda in esame, in definitiva, i giudici di Strasburgo hanno riscontrato una violazione dell'articolo 10 (sulla libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non essendovi nessun ragionevole rapporto di proporzionalità tra l'ingerenza nell'esercizio del diritto di espressione della dipendente e lo scopo perseguito dalle autorità nazionali.

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