Locazioni. L'immobile non è restituito se rimangono mobili all’interno

Pubblicato il 09 agosto 2018

La Corte di cassazione ha di recente formulato alcuni principi di diritto in tema di restituzione di un immobile locato e danni da ritardata restituzione del bene.

Con sentenza n. 20146 depositata il 30 luglio 2018, la Corte ha spiegato, in primo luogo, che l'obbligazione di restituzione dell'immobile locato, prevista dall'articolo 1590 del Codice civile, resta inadempiuta nel caso in cui il locatore non ne riacquisti la completa disponibilità, così da poterne fare uso secondo la sua destinazione.

Ne discende, in questo caso, che la mora e gli effetti dell'articolo 1591 del Codice civile (che disciplina i danni per la ritardata restituzione) si producono anche se il locatore medesimo torni formalmente in possesso del bene, ma questo risulti inutilizzabile in quanto ancora occupato da beni mobili del conduttore che non debbano consegnarsi al locatore.

Niente tolleranza del locatore se rimangono beni anche dopo rilascio coattivo

A nulla rileverebbe, in detto contesto, che il rilascio sia avvenuto coattivamente, atteso che – si legge nella decisione della Suprema corte – “la formale chiusura del processo esecutivo non determina l'automatica cessazione degli effetti sostanziali collegati al rapporto di locazione”.

Una volta che, esaurite le operazioni esecutive per il rilascio coattivo dell'immobile, permangano, comunque, dei beni all'interno di questo, precedentemente entrati nel possesso o nella detenzione del conduttore, poi affidati a un custode giudiziario, lo stazionamento di questi beni nei locali non può ascriversi a una tolleranza del locatore; difatti, si tratta di una situazione è determinata dalle esigenze di custodia, di cui si fa carico il soggetto all'uopo incaricato, e non dalla condotta dell'avente diritto al rilascio.

Risarcibilità dei danni e condizione della inevitabilità

Per finire, gli Ermellini si sono pronunciati in tema di concreta risarcibilità di danni subiti dal creditore, sancendo che l'articolo 1227, comma 2, c.c., nel porre la condizione dell'inevitabilità, da parte del creditore, con l'uso dell'ordinaria diligenza, impone anche una condotta attiva o positiva diretta a limitare le conseguenze dannose di detto comportamento.

Tuttavia, nell'ambito dell'ordinaria diligenza richiesta, sono “ricomprese soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici”.

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