Luoghi di culto e TARI: chiarimenti MEF su esenzioni e riduzioni

Pubblicato il 16 settembre 2025

La questione dell’applicabilità della tassa sui rifiuti (TARI) ai luoghi destinati al culto è stata recentemente oggetto di un chiarimento da parte del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Con la risoluzione n. 1/DF del 15 settembre 2025, la Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale ha risposto a un quesito formulato da diversi enti locali e associazioni, i quali segnalavano la prassi di alcuni comuni di assoggettare integralmente alla TARI gli edifici adibiti esclusivamente all’esercizio del culto.

Il problema sollevato nasce dalla mancanza, nell’attuale disciplina nazionale della TARI, di una disposizione che preveda un’espressa esenzione per i luoghi di culto, a differenza di altre categorie di immobili (abitazioni con unico occupante, case ad uso stagionale, fabbricati rurali, ecc.). Da qui l’interrogativo: tali spazi possono essere considerati idonei alla produzione di rifiuti e quindi soggetti alla tassa, oppure la loro particolare destinazione li rende – almeno in parte – non assimilabili alle altre utenze non domestiche?

Il quesito, inoltre, richiama esplicitamente il principio comunitario del “chi inquina paga”, chiedendo al MEF di chiarire se e in che misura i luoghi di culto, notoriamente caratterizzati da una ridotta produzione di rifiuti, debbano essere inclusi nell’imposizione tributaria, e come debbano essere calibrati i criteri di proporzionalità e congruità nella determinazione delle tariffe.

Nessuna esenzione automatica per i luoghi di culto

La disciplina nazionale della TARI non prevede, tra le categorie beneficiarie di esenzione, i luoghi destinati all’esercizio del culto.

La Legge n. 147 del 2013 individua infatti una serie di casi specifici in cui è possibile ottenere riduzioni o esenzioni – come le abitazioni con unico occupante, gli immobili a uso stagionale, i fabbricati rurali o le attività che riducono la produzione di rifiuti – ma non contempla gli edifici religiosi. Ne deriva che, in assenza di una norma che stabilisca diversamente, tali spazi rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione della tassa sui rifiuti.

Il potere regolamentare dei comuni

Pur mancando un’esenzione automatica, la legge consente ai comuni di intervenire in modo autonomo. L’articolo 1, comma 660, della legge n. 147/2013 attribuisce infatti agli enti locali la possibilità di introdurre, con proprio regolamento, ulteriori agevolazioni o esenzioni, purché finanziate attraverso la fiscalità generale e non con il gettito della TARI.

In tale prospettiva, un’amministrazione comunale può decidere di trattare i luoghi di culto come aree non idonee alla produzione di rifiuti e, di conseguenza, riconoscere riduzioni o esenzioni specifiche che tengano conto della loro peculiare destinazione d’uso.

Orientamenti della giurisprudenza

Sul tema dell’assoggettamento dei luoghi di culto alla TARI, la giurisprudenza ha assunto posizioni precise che confermano l’assenza di un’esenzione automatica. La Corte di Cassazione ha chiarito in più occasioni che gli edifici destinati al culto non sono esclusi, per regola generale, dalla tassa sui rifiuti. Le rare ipotesi di esclusione hanno sempre trovato fondamento non nella semplice destinazione religiosa degli immobili, ma nella constatazione che, per loro natura e per il particolare uso cui sono adibiti, tali luoghi risultano di fatto incapaci di produrre rifiuti. In altre parole, la mera funzione religiosa non giustifica di per sé l’esenzione: occorre invece una verifica concreta dell’effettiva idoneità alla produzione di rifiuti e della reale destinazione dell’immobile.

Anche la giurisprudenza amministrativa, e in particolare il Consiglio di Stato, ha posto l’accento sul principio di proporzionalità. I giudici amministrativi hanno affermato che i comuni, pur godendo di un’ampia discrezionalità tecnica nel fissare le tariffe, devono rispettare criteri di ragionevolezza ed equilibrio, evitando che alcune categorie siano gravate da oneri eccessivi rispetto alla loro effettiva capacità inquinante. Questo orientamento ribadisce che le tariffe non possono essere determinate in modo uniforme e astratto, ma devono tenere conto della reale quantità di rifiuti potenzialmente prodotta dalle diverse tipologie di immobili, inclusi i luoghi di culto.

Luoghi di culto senza esenzione automatica

Alla luce dell’analisi normativa e giurisprudenziale, il MEF con la risoluzione n. 1/DF del 15 settembre 2025 ha chiarito che i luoghi di culto non beneficiano di un’esenzione automatica dalla TARI, ma possono essere oggetto di specifiche agevolazioni stabilite dai comuni attraverso il proprio regolamento.

La risoluzione sottolinea che gli enti locali, pur disponendo di ampi margini di discrezionalità nella scelta dei coefficienti da applicare, non possono discostarsi dal principio di proporzionalità. Ciò significa che non è legittimo stabilire valori massimi per alcune categorie e minimi per altre senza una motivazione ragionevole, anche se tali scelte rientrano nei limiti fissati dal D.P.R. n. 158/1999. La proporzionalità costituisce infatti un vincolo imprescindibile: la tariffa deve riflettere in modo equilibrato la reale capacità di produzione dei rifiuti da parte delle diverse tipologie di utenze.

Inoltre, la risoluzione ricorda che, fino a diversa regolamentazione dell’ARERA, i comuni possono adottare i coefficienti tariffari previsti dal D.P.R. n. 158/1999 anche in misura ridotta fino al 50% o aumentata fino al 50%. Anche in questo caso, tuttavia, ogni decisione deve rispettare i principi di ragionevolezza e proporzionalità, pena la possibilità di contestazione in sede contenziosa.

Infine, viene ribadito che resta sempre ferma la facoltà dei comuni di introdurre nei propri regolamenti specifiche agevolazioni per i luoghi di culto, purché tali misure siano coperte con risorse della fiscalità generale e non con il gettito derivante dalla TARI.

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