Al rientro dalla maternità, molte lavoratrici si trovano senza indicazioni chiare né riferimenti organizzativi. Postazione, carichi, modalità di lavoro: tutto è dato per scontato. Si riparte con urgenze operative, senza una regia. In mancanza di un orientamento definito, il reinserimento resta a carico di chi torna.
Eppure, la disciplina di riferimento è precisa. La lavoratrice ha diritto a ritrovare la propria posizione – nello stesso luogo, con le stesse mansioni o altre equivalenti – come previsto dall’articolo 56 del D.Lgs. n. 151/2001.
Si aggiunge a questo la tutela prevista dall’articolo 2103 del Codice civile, che vieta ogni forma di demansionamento non consensuale.
I cinque mesi tutelati dall’astensione obbligatoria restano indisponibili: durante questo periodo, la lavoratrice non può essere adibita ad alcuna attività, indipendentemente da eventuali richieste aziendali.
Il congedo parentale, invece, può essere fruito entro i dodici anni del figlio, anche in modo frazionato o continuativo, da entrambi i genitori. Gli articoli 32 e seguenti del D.Lgs. n. 151/2001, modificati dal D.lgs. 105/2022, hanno introdotto forme di maggiore flessibilità, pur mantenendo limiti precisi sulla durata e sull’indennizzo.
A livello europeo, la Direttiva UE 2019/1158, recepita con lo stesso decreto, ha rafforzato il diritto al congedo obbligatorio di paternità, oggi fissato in dieci giorni lavorativi retribuiti integralmente. Tuttavia nella prassi, la distribuzione dei tempi di cura resta sbilanciata: sono ancora le madri, nella stragrande maggioranza dei casi, a farsi carico della gestione familiare nei primi anni di vita del bambino.
Molte aziende rispettano gli obblighi formali, ma non prevedono un metodo.
Il rientro avviene senza colloqui, senza documenti, senza un referente. La gestione ricade sul singolo responsabile, spesso senza tempo né strumenti. Chi torna si adegua, chi non ci riesce, resta ai margini.
Alcune realtà hanno cominciato a costruire percorsi più lineari: aggiornamenti periodici durante l’assenza, affiancamenti strutturati al momento del rientro, momenti di confronto reali, non di cortesia. È qui che il lavoro cambia volto: quando diventa possibile ritrovare la propria funzione, senza dover dimostrare ogni giorno di meritarsela di nuovo.
L’apertura di un nido aziendale, interno o in convenzione, resta una misura utile per favorire la continuità lavorativa nei contesti con alta incidenza di genitori dipendenti. Tuttavia, l’attuazione concreta è subordinata a vincoli normativi rilevanti.
Il D.P.R. n. 616/1977 attribuisce alle Regioni la piena competenza in materia, rendendo il quadro frammentato: requisiti strutturali, accreditamento, personale e standard qualitativi sono stabiliti a livello locale. L’azienda, pertanto, non può procedere in autonomia, ma deve seguire un iter autorizzativo preciso, che prevede anche una direzione tecnica e un progetto pedagogico coerente con le linee guida regionali. Dove il modello viene realizzato, gli effetti sono misurabili in termini di retention e riduzione delle assenze, ma la sua applicabilità resta circoscritta a contesti ben strutturati.
Il D.Lgs. n. 198/2006 vieta trattamenti sfavorevoli legati ai congedi, ma nella pratica il ritorno avviene spesso senza ascolto né coordinamento. A mancare è una gestione esplicita: tempi, compiti e relazioni vengono lasciati al caso. Intervenire prima significa evitare distorsioni difficili da correggere dopo.
L’organizzazione aziendale regge se il margine di prevedibilità resta elevato; in tal senso la maternità non può essere gestita come una variabile esogena.
In assenza di progettazione, anche un’assenza prevista può compromettere le attività quotidiane, soprattutto quando le funzioni non sono documentate, i flussi non sono tracciati o le sostituzioni vengono affidate a decisioni occasionali.
La gestione del congedo e del rientro richiede, ad un tempo, coerenza tra pianificazione, tracciabilità e accesso alle informazioni. Ogni sistema che opera senza questi presupposti tende a generare carichi imprevisti, margini di ambiguità e inefficienze diffuse.
Le imprese che curano la documentazione dei ruoli, l’aggiornamento delle competenze e la disponibilità di soluzioni interne riescono a garantire continuità anche in presenza di assenze prolungate.
Il congedo per maternità è un istituto certo, regolato, programmabile e, considerarlo un’anomalia, equivale a rendere strutturale una carenza organizzativa che può essere risolta solo attraverso la gestione ordinaria del lavoro.
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