Mercato di voto sul concordato: nessun tentativo senza avvio di trattativa

Pubblicato il 13 dicembre 2022

La Corte di cassazione sul reato di mercato di voto: il tentativo non è configurabile se la proposta di una delle parti non è accolta dall'altra, neppure in termini di avvio di una trattativa.

Con sentenza n. 46839 del 12 dicembre 2022, la Suprema corte ha accolto il ricorso avanzato dall'amministratore delegato di una Spa contro la decisione con cui la Corte d'appello lo aveva condannato per il delitto, tentato, di mercato di voto di cui agli artt. 56 c.p., 233 e 236, comma 2 n. 4 Legge fallimentare.

L'imputazione contestatagli era di aver prospettato, al presidente di altra società, il pagamento di una somma sostanziosa per esprimere parere favorevole al concordato preventivo presentato da una Srl in liquidazione, amministrata dal figlio.

Mentre, in primo grado, il giudice di merito non aveva ritenuto provata la penale responsabilità dell'imputato, la Corte territoriale, in sede di gravame, aveva considerato dimostrata la relativa colpevolezza, alla luce del contenuto delle conversazioni intervenute tra le parti, per come emerse in sede istruttoria.

L'amministratore si era rivolto alla Suprema corte, contestando l'argomentazione offerta dal giudice di secondo grado in ordine alla configurabilità del tentativo di mercato di voto.

Mercato di voto, configurabilità del tentativo

Doglianza, questa, giudicata fondata dalla Quinta sezione penale della Cassazione.

Gli Ermellini, in particolare, hanno evidenziato come all'imprenditore fosse stata addebitata l'esecuzione di atti idonei e diretti in modo univoco ad ottenere vantaggi compensativi a fronte dell'esercizio del voto in favore dell'ammissione alla procedura di concordato pre-fallimentare, senza tuttavia considerare il comportamento assunto dal destinatario della pretesa, nell'intera vicenda.

Quest'ultimo, a ben vedere, non aveva accolto la proposta del creditore, nemmeno in termini di trattativa.

L'ipotesi criminosa del mercato di voto di cui all'art. 233 L. Fall. - ha precisato la Corte - punisce la stipula di accordi tra il creditore e il fallito finalizzati a prestare il voto del creditore nella procedura di concordato.

Tale fattispecie, per come strutturata, presuppone la par condicio contractualis, limitandosi, essa, a rimandare alla stipulazione, ossia a un concetto giuridico che implica l'incontro libero e consapevole della volontà delle parti.

In assenza di ulteriori specificazioni in ordine alle modalità della condotta, è evidente la struttura consensuale e bilaterale del reato, reato che si perfeziona, quindi, con la consacrazione del patto illecito tra privati.

In tale contesto, per configurare il tentativo di tale fattispecie, necessariamente anch'esso bilaterale, occorre che la trattativa sia pervenuta ad uno stadio tale da consentire di ravvisare l'idoneità degli atti diretti in modo non equivoco alla stipula dell'accordo e che l'accordo, poi, non si sia concluso per cause indipendenti alla volontà degli autori.

Il tentativo, per contro, non è configurabile se la proposta proveniente da una delle parti sia rimasta - come nel caso in esame - non accolta dall'altra, neppure in termini di avvio di una trattativa.

Nella predetta ipotesi, infatti, la condotta del proponente si esaurisce nella sua stessa sfera giuridica e non può ritenersi innescato un meccanismo idoneo a porre in pericolo il bene tutelato.

In definitiva, la sentenza di condanna è stata annullata, senza rinvio, perché "il fatto non sussiste".

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