Minaccia al collega non seria, licenziamento illegittimo

Pubblicato il 15 dicembre 2020

E’ stata confermata, dalla Cassazione, la decisione con cui la Corte d’appello aveva dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare comminato da una Srl ad un proprio dipendente per aver proferito frasi minacciose all’indirizzo di un collega, componente della RSU aziendale, nel corso di un’assemblea sindacale.

I giudici di gravame avevano ritenuto di dover dare rilievo al contesto in cui si era verificato l’accaduto e, in particolare, al fatto che, nel corso dell’assemblea, era in discussione una problematica sollevata dal lavoratore, sulla quale il componente della RSU era in aperto dissenso.

I due, peraltro, avevano avuto già una discussione all’esito della quale il prestatore aveva chiesto la sostituzione del rappresentante sindacale.

La condotta del lavoratore era stata ritenuta non riconducibile, in relazione a ciò, alla ipotesi contemplata dal codice disciplinare in base alla quale era stata mossa la contestazione: non era stato ravvisato, infatti, né un grave nocumento morale o materiale subito dall’azienda né gli estremi di un reato.

Le intemperanze verbali del medesimo potevano al più risultare ricomprese nella diversa fattispecie del comportamento contrario alla correttezza delle relazioni personali, per come contenuta nel CCNL applicabile, fattispecie suscettibile di una sanzione meramente conservativa.

Minacce sul posto di lavoro da collega, conseguenze

Con sentenza n. 28630 del 15 dicembre 2020, la Suprema corte ha respinto il ricorso promosso dalla società datrice di lavoro contro la decisione di merito, giudicando pienamente coerente l’accertamento di merito eseguito dai giudici di gravame.

Tale ricostruzione era stata incentrata sulla non serietà della minaccia proferita dal lavoratore nei confronti del rappresentante sindacale, da inquadrare piuttosto nell’abitudine del prestatore medesimo ad atteggiamenti “inurbani” e ad un linguaggio scurrile.

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