Molestie via Whatsapp legittimano il divieto di avvicinamento

Pubblicato il 17 maggio 2018

La Cassazione ha confermato la legittimità, nell’ambito di un’indagine per stalking, della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, impartita dal Gip, e poi confermata dal Tribunale del riesame, a carico di un uomo.

L’imputazione provvisoriamente addebitata a quest’ultimo era quella di aver posto in essere atti persecutori in danno della ex moglie, reiteratamente minacciata e molestata con continue e “asfissianticomunicazioni a mezzo di telefono, Facebook e Whatsapp, che le avevano cagionato un perdurante stato di ansia e di paura.

Misura confermata dalla Cassazione

In particolare, la Quinta sezione penale, con sentenza n. 21693 del 16 maggio 2018, ha rigettato le doglianze sollevate dall’indagato e con le quali lo stesso aveva evidenziato che le minacce a lui ascritte non si erano mai concretizzate, essendo rimaste solo “virtuali”.

Nella loro decisione, gli Ermellini hanno ritenuto che i rilievi del ricorrente in ordine al presupposto della gravità indiziaria fossero inammissibili a fronte della motivazione resa dai giudici di merito.

In questa, erano stati ripercorsi, sulla scorta di dati indiziari tratti dal racconto, ritenuto credibile, della donna, i fatti salienti che avevano portato all’imputazione, ossia i plurimi messaggi offensivi, molesti, e minacciosi a questa indirizzati.

Due i messaggi posti in particolare evidenza: il primo, con cui si prospettava “un macello” qualora l’indiziato si fosse accorto che il figlio si trovava insieme alla persona offesa insieme al nuovo compagno della madre; il secondo, con cui veniva minacciato di dare fuoco ad un lettino.

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