Niente concordato preventivo in presenza di comportamenti che ingannano i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento

Pubblicato il 24 giugno 2011 La Corte di cassazione, con sentenza n. 13817 del 23 giugno 2011, ha accolto il ricorso presentato da un'azienda che, ammessa dal Tribunale alla procedura di concordato preventivo, era stata poi dichiarata fallita dalla Corte d'appello dopo le segnalazioni pervenute da alcuni commissari secondo cui erano venute meno le condizioni per l'ammissione all'istituto del concordato in considerazione del compimento da parte dell'imprenditore di alcuni atti che avevano ridotto il patrimonio della società per entità rilevanti.

Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, non tutti i danni al patrimonio sono idonei ad escludere l'ammissione alla procedura di concordato preventivo essendo rilevanti, a tal proposito, solo i comportamenti con i quali i creditori vengono ingannati sulle reali prospettive di soddisfacimento.

In particolare – continua la Corte - “il legislatore enuncia espressamente alcuni dei possibili comportamenti rilevanti (occultamento o dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione dell'esistenza di crediti, esposizione di passività inesistenti) e con una evidente disposizione di chiusura integra tale elencazione, indicativa e non tassativa, con il richiamo ad altri atti di frode”. Detti atti “non sono accomunati dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, posto che tale attitudine non ha l'esposizione di passività inesistenti, mentre invece un minimo comune denominatore è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulla reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare”.
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