Niente condanna per l'avvocato che allontana il cliente dallo studio

Pubblicato il 28 gennaio 2011 Con sentenza depositata il 27 gennaio 2011, la n. 3014, la Sesta sezione penale della Cassazione ha annullato, con rinvio, la decisione con cui la Corte d'appello di Torino aveva condannato un legale a due mesi e 15 giorni di reclusione per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone in concorso con il delitto di lesioni personali.

In particolare, l'avvocato era stato accusato per aver allontanato con la violenza una cliente che non voleva uscire dal proprio studio, arrecando alla stessa lesioni personali a seguito di urto con la porta montante. I giudici di gravame  avevano ritenuto che la condotta del professionista non potesse ritenersi scriminata dall'esimente della legittima difesa neppure dalla necessità di difendere il proprio diritto all'inviolabilità del domicilio, posto che tale diritto ben poteva essere tutelato richiedendo l'intervento delle forze dell'ordine.

Diversa la posizione dei giudici di legittimità, secondo cui la condotta di chi, nella specie la cliente, trovandosi nell'abitazione altrui si rifiuta di ottemperare alla volontà espressa dal titolare dello “jus excludendi” andava apprezzata come comportamento suscettibile di valutazione penale ai sensi dell'articolo 614 del Codice penale, mentre la contestuale reazione dell'avente diritto, ricorrendone le condizioni, ben poteva essere scriminata ai sensi dell'articolo 51 o 52 del Codice penale.
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