Niente rimpatrio della minore, se il padre è dedito ad alcool e droga

Pubblicato il 31 luglio 2015

Con sentenza n. 16043 depositata il 29 luglio 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha annullato – su ricorso di una madre - la pronuncia con cui il Tribunale dei minori aveva restituito la propria figlia al padre, in accoglimento della procedura di rimpatrio, da quest'ultimo attivata.
La vicenda da cui origina la pronuncia, riguarda due coniugi che si erano trasferiti, assieme alla figlia minore, dall'Italia, in Florida, dove il marito aveva trovato stabile lavoro.
Tuttavia, dopo alcuni anni, la donna era rientrata definitivamente in Italia, portando e trattenendo con sé la bambina. Aveva chiesto altresì, alle autorità italiane, la separazione dal marito, di cui prospettava la inadeguatezza genitoriale per alcoolismo.
L'uomo dunque – chiedendo a sua volta il divorzio dinnanzi alle autorità americane – avanzava domanda di rimpatrio della figlia, che il Tribunale, con la pronuncia impugnata, accoglieva.
Avverso detta pronuncia, la donna ricorreva quindi in Cassazione, censurando l'omessa verifica, da parte dei giudici di merito, circa l'effettiva sussistenza del diritto di custodia in capo al padre, a seguito dell'arresto per guida in stato di ebbrezza e dei diversi ricoveri in centri di recupero per alcoolismo. Censurava altresì il presunto pericolo di danni psichici per la minore, tenendo conto che il padre era dedito all'uso di sostanze stupefacenti .
Accogliendo la prima censura, la Suprema Corte ha chiarito innanzitutto come, presupposto indefettibile perché possa essere disposto il rimpatrio del minore (ai sensi della Convenzione Aja del 28.10.1980) è proprio che, al momento del trasferimento, il diritto di affidamento sia effettivamente esercitato dal richiedente.
Quanto alla seconda censura – ovvero il pericolo di danni psicologici per la minore – la Cassazione ha parimenti dato ragione alla ricorrente, rilevando come il Tribunale avesse erroneamente omesso di considerare tutta un serie di elementi, tra cui, l'età della minore, l'impossibilità di comunicare con il padre per diversità della lingua, l'esposizione al rischio di pericoli fisici ma soprattutto psichici, in considerazione della pacifica dedizione del padre – in assenza di attestati che ne provassero il completo recupero – ad alcool e droghe. Tutto ciò, in assenza della madre, che, per motivi giuridici (scadenza visto) non avrebbe potuto far rientro negli Usa. Il Tribunale, invero, si era solo limitato – ha rilevato la Corte - a constatare l'assenza di maltrattamenti ai danni della minore, che tuttavia, per quanto detto, non costituivano certo l'unica fonte di rischio.

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