Non commette reato chi con i proventi paga i debiti tributari

Pubblicato il 01 luglio 2015

Con sentenza n. 27143 depositata il 30 giugno 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha accolto il ricorso del rappresentante di una s.r.l. avverso il decreto di sequestro preventivo di un'imbarcazione (che aveva acquistato), in relazione al reato di cui all'art. 11 D.Lgs 74/2000 contestato ai proprietari dell'imbarcazione medesima.

Nel decreto impugnato, in particolare, si riconosceva il carattere simulatorio e fraudolento della vendita in questione, finalizzata ad eludere la riscossione degli ingenti debiti tributari maturati dalla neo costituita società del ricorrete.

Quest'ultimo, dunque, quale parte interessata, ricorreva in Cassazione, lamentando, oltre alla insussistenza dei presupposti della simulazione, anche la presunta violazione del suddetto art. 11, laddove l'accusa non aveva dato alcuna rilevanza al fatto che il prezzo di vendita fosse stato impiegato per il pagamento di debiti tributari. Invero si era ritenuto che detti debiti fossero diversi da quelli in contestazione e che, comunque, l'esposizione tributaria complessiva della società in questione fosse di gran lunga maggiore.

La Cassazione, sulla questione, ha innanzitutto confermato la sussistenza di una vendita simulata (respingendo il relativo motivo di censura), sia per il fatto che la società acquirente fosse stata appena costituita, sia per la dimostrata ingerenza nella gestione di quest'ultima, da parte dei soggetti cui era riconducibile la società alienante.

Ciò posto, la Suprema Corte ha tuttavia negato che la vendita in questione integrasse il reato di cui all'art. 11 D.Lgs 74/2000, per carenza del "dolo specifico" che caratterizza la fattispecie.

Si richiede infatti, ai fini del reato de quo, che la condotta contestata – idonea a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva – sia finalizzata alla sottrazione "al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a tali imposte". Sicché si ritiene, attesa la formulazione della norma, che una condotta il cui risultato economico sia destinato ad andare – come nel caso di specie – anziché a detrimento, addirittura a beneficio dell'Erario, non possa dirsi accompagnata dal "dolo specifico" richiesto dalla norma incriminante; ciò indipendentemente dal fatto che le imposte in tal modo pagate, siano quelle per cui è pendente un'azione di riscossione o altre.

Sulla base di questi motivi, la Cassazione ha annullato l'ordinanza impugnata.  

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