Non è denominazione di origine protetta se non c’è registrazione europea

Pubblicato il 13 febbraio 2015 In assenza di un’apposita registrazione a livello europeo, non costituisce violazione del diritto di denominazione di origine protetta, la commercializzazione di un determinato prodotto alimentare, da parte di un’azienda produttrice sita in un territorio diverso rispetto a quello “tipicamente” d’origine.

E’ quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione, prima sezione civile, con sentenza n. 2828 depositata il 12 febbraio 2015, accogliendo il ricorso presentato dalla società produttrice di un noto salume, con sede in un luogo differente rispetto a quello “tipicamente” di provenienza del salume medesimo.

Le ragioni della ricorrente non trovavano dapprima accoglimento e la sua condotta di messa in vendita veniva considerata illegittima, in quanto, in violazione del diritto di denominazione d’origine protetta.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, infatti affermavano come, in base alla normativa nazionale di cui al D.Lgs n. 109/1996, la particolare tutela accordata al prodotto in questione, dipendesse esclusivamente dalla associazione “per reputazione” tra i consumatori, tra il prodotto medesimo ed il suo luogo di provenienza.

Di diverso avviso si è rivelata la Cassazione, dopo aver rimesso la questione alla Corte di Giustizia europea, per una corretta interpretazione del Regolamento CEE n. 2081/1992 sulla tutela comunitaria della denominazione d’origine, anche in relazione alla normativa nazionale in materia (menzionato D.lgs. 109/1996).

Ha così concluso la Suprema Corte che, relativamente al caso in questione, non può trovare applicazione la previsione di cui alla normativa nazionale, poiché, per essere un determinato prodotto protetto con denominazione di provenienza geografica, necessita di essere registrato ai sensi del menzionato Regolamento CEE.
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