Le note di variazione IVA (art. 26, commi 2 e 3-bis, D.P.R. 633/1972) si possono emettere da quando si verifica l’evento che dà diritto alla variazione (ad esempio annullamento del contratto, mancato pagamento per fallimento o procedure esecutive infruttuose).
Tuttavia, l’emissione non può avvenire oltre il termine di decadenza previsto per gli accertamenti fiscali relativi all’anno in cui quel diritto è sorto.
E’ la massima fornita con la Norma di Comportamento n. 231 del 10 settembre 2025 dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (AIDC) che si occupa dell’emissione delle note di variazione IVA (art. 26, commi 2 e 3-bis, D.P.R. 633/1972).
Secondo l’articolo 26, commi 2 e 3-bis del D.P.R. 633/1972, se un’operazione per la quale è già stata emessa fattura, dopo la registrazione, viene meno del tutto o in parte, oppure se ne riduce la base imponibile, a causa di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o circostanze simili, oppure in seguito a sconti o riduzioni previsti dal contratto, o ancora per mancato pagamento dovuto a procedure esecutive senza esito o all’avvio di procedure concorsuali, il fornitore del bene o il prestatore del servizio ha il diritto di recuperare l’IVA corrispondente alla variazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 19, registrandola come indicato nell’articolo 25 dello stesso decreto Iva.
Dal momento in cui si verifica uno di questi presupposti, colui che ha emesso la fattura può procedere a rettificare in diminuzione l’imposta addebitata a titolo di rivalsa: questo rappresenta il punto di partenza (dies a quo).
Per individuare il termine finale (dies ad quem), non è utile considerare l’espressione contenuta nel secondo comma dell’articolo 26, DPR 633/1972. secondo cui il fornitore “ha diritto di portare in detrazione l’IVA ai sensi dell’articolo 19”.
Tale riferimento, infatti, va inteso solo in senso tecnico-contabile: la riduzione dell’imposta non coincide con la detrazione dell’IVA pagata sugli acquisti o sulle importazioni. L’imposta riportata nelle note di variazione non nasce dall’esecuzione di un’operazione imponibile, ma dal verificarsi di specifiche situazioni previste dall’articolo 26, commi 2 e 3-bis.
Con la variazione prevista dall’articolo 26, il contribuente effettua una correzione in diminuzione dell’imposta indicata nella fattura originaria, un’imposta che non è più “dovuta” a seguito del verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge.
Al contrario, con la detrazione disciplinata dall’articolo 19, lo stesso soggetto può recuperare soltanto l’IVA che gli è stata addebitata in fattura, ossia quella effettivamente “dovuta” in relazione a un’operazione imponibile.
L’articolo 26, al comma 2, richiama l’articolo 19 del D.P.R. 633/1972, ma questo rinvio non va letto come un’estensione automatica delle regole e delle scadenze previste per la detrazione. Si tratta, infatti, di un richiamo di tipo tecnico, utile solo a chiarire le modalità contabili, ma che non incide sulla sostanza giuridica.
La detrazione disciplinata dall’articolo 19 riguarda l’IVA dovuta per le operazioni di acquisto e di importazione, quindi un’imposta “positiva” che il contribuente ha effettivamente versato e che può portare in detrazione. La variazione, invece, è legata a eventi sopravvenuti che fanno venir meno l’obbligo di versare l’imposta precedentemente indicata in fattura: si tratta, quindi, di un’imposta non più esigibile.
A livello comunitario, la Direttiva IVA disciplina puntualmente i diritti di detrazione (articoli 178-183), ma lascia ai singoli Stati membri la possibilità di stabilire le regole relative alla rettifica della base imponibile (articolo 90). Questo significa che l’Italia, come gli altri Paesi UE, può regolare i termini e le modalità delle variazioni, purché vengano rispettati i principi fondamentali del diritto europeo, in particolare la neutralità dell’imposta e l’effettività del diritto di recupero.
In altre parole, l’ordinamento unionale riconosce agli Stati un certo margine di discrezionalità, ma entro limiti ben precisi: le regole interne non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile per il contribuente recuperare l’IVA non più dovuta.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato più volte il tema delle variazioni IVA, chiarendo alcuni principi fondamentali.
Esclusa la possibilità di applicare il termine ordinario previsto per la detrazione dell’IVA indicata in fattura e constatata l’assenza di un chiaro riferimento legislativo, la Norma di comportamento AIDC n. 231/2025 ritiene che sia comunque necessario salvaguardare la certezza e la stabilità dei rapporti tra contribuenti e amministrazione finanziaria.
Di conseguenza, la facoltà di effettuare variazioni non può essere esercitata oltre il termine stabilito per l’accertamento dall’articolo 57 del Dpr 633/1972, termine che può essere prorogato in caso di presentazione di dichiarazione integrativa.
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