Operazioni sospette in banca. Obbligo di segnalazione all'Uif anche senza indagini preliminari

Pubblicato il 14 maggio 2015 Con sentenza del 17 aprile 2015, il Tribunale di Roma ha respinto l'opposizione del legale rappresentante di una banca, avverso una sanzione amministrativa pecuniaria impostagli dal Ministero dell'Economia, per non aver segnalato all'Ufficio Italiano Cambi– in virtù del suo ruolo – lo svolgimento di operazioni finanziarie sospette presso una filiale della baca rappresentata.
 
Eccepiva in proposito l'opponente la nullità della predetta sanzione, per errata individuazione del soggetto chiamato a rispondere – essendo egli il legale rappresentante della banca interessata e non il preposto alla filiale – nonché l'invalidità del relativo accertamento per carenza di motivazione ed istruttoria, laddove non emergeva alcun riferimento ai delitti di provenienza dei fondi impiegati nelle operazioni sospette.

Sul punto il Tribunale - convenendo con il Ministero dell'Economia opposto – ha ravvisato, nel caso di specie, una palese violazione dell'art. 3 D.L. 143/1991 (versione vigente al tempo dei fatti), nella parte in cui rileva che il titolare o rappresentante legale di un'azienda è sempre tenuto, esaminate le segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate, a trasmetterle senza ritardo all'Ufficio Italiano Cambi.

Ora nel caso in esame il vertice aziendale aveva ricevuto numerose segnalazioni di anomalie (senza mai trasmetterle all'organo di vigilanza), in alcuni casi ripetute o addirittura seguite da segnalazione all'autorità giudiziaria.

D'altra parte, ha poi evidenziato il Tribunale, come l'obbligo di segnalazione – quì omesso – non debba necessariamente essere subordinato al compimento di indagini preliminari da parte dell'intermediario finanziario ed alla conseguente emersione di un quadro indiziario di riciclaggio.

Ciò che rileva ai fini del predetto obbligo ex D.L. 143/1991 è solo un giudizio obiettivo sulla idoneità delle operazioni (in base a caratteristiche oggettive e soggettive) ad essere strumento di elusione delle norme dirette a reprimere le attività di riciclaggio. E nel caso di specie gli elementi rinvenuti – flussi finanziari tra due imprenditori non giustificati dall'attività economica svolta da ciascuno, la cui anomalia è evidenziata dall'impiego di conti personali e dalla ripetuta presentazione di assegni prima impagati e poi coperti da contante – rendono del tutto evidente, soprattutto da parte di un operatore professionista quale un legale rappresentante di banca, che si tratti di operazioni quantomeno volte ad evitare l'imposizione fiscale.
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