Pena illegale nel patteggiamento. Precisazioni della Cassazione

Pubblicato il 02 agosto 2019

Nelle sentenze di patteggiamento, eventuali errori di calcolo possono concorrere nel configurare un’ipotesi di pena illegale? 

Al quesito ha dato risposta la Corte di cassazione, con sentenza n. 35200 del 1° agosto 2019, nel pronunciarsi sul ricorso presentato da un PM contro la decisione di patteggiamento disposta nei confronti di un uomo, imputato del reato di infedele dichiarazione.

Il Pubblico ministero aveva chiesto l’annullamento di questa pronuncia sull’assunto che la pena determinata dal Tribunale fosse illegale a causa dell’applicazione di una diminuzione di pena superiore a quella massima consentita dall’articolo 444 c.p.p.

Pena illegale: nozione ai fini del ricorso per cassazione

La Terza sezione penale ha ritenuto inammissibili le doglianze sollevate del ricorrente, sottolineando, in primo luogo, come nella vicenda esaminata trovasse applicazione, ratione temporis, l’articolo 448, comma 2 bis, c.p.p. introdotto dalla Legge n. 103/2017.

Occorreva, così, soffermarsi sulla nozione di pena illegale rispetto alla quale la citata novella ha individuato uno dei casi di ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Con la nozione di illegalità della pena - ha ricordato la Suprema corte - il legislatore ha voluto recepire l’elaborazione della giurisprudenza in sede di definizione dell’ambito della sindacabilità di una sentenza di patteggiamento in punto di determinazione della pena.

Giurisprudenza che ha ricondotto alla nozione di pena illegale quella irrogata da una sentenza che recepisca un accordo tra le parti con una pena in misura inferiore al minimo edittale.

Valutazione di congruità sul risultato finale, errori di calcolo irrilevanti

La valutazione della congruità della pena concordata deve essere operata dal giudice con riferimento al risultato finale dell’accordo, indipendentemente dai singoli passaggi interni di computo.

In detto contesto, sono irrilevanti gli eventuali errori di calcolo commessi nel determinare la pena finale: ciò che deve essere verificato è che il risultato finale non si traduca in una pena illegale.

E nel caso in esame, gli Ermellini hanno sottolineato che la pena finale, fissata in otto mesi di reclusione, non era inferiore al minimo assoluto previsto dall’articolo 23 del Codice penale, né la pena considerata quale base di calcolo (ovvero quella di due anni di reclusione) era inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato contestato all’imputato.

Conseguentemente, non si poteva dire che si versasse in una delle ipotesi di pena illegale individuate dalla giurisprudenza di legittimità.

Ne discendeva l’inammissibilità del ricorso del PM in quanto proposto al di fuori dei casi consentiti, non versandosi, nella specie, in un’ipotesi di pena illegale.

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