Perdita capacità lavorativa, il danno nella giurisprudenza

Pubblicato il 31 marzo 2016

Con il presente elaborato si intende fare il punto in materia di risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa a seguito di sinistro, prendendo in esame alcune delle più recenti pronunce giurisprudenziali in merito.

Perdita capacità lavorativa specifica, risarcimento non automatico

Uno dei principi, in proposito, notoriamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, è quello secondo cui il risarcimento del danno da ridotta capacità lavorativa specifica non scatta in automatico, ma è sempre il soggetto danneggiato a dover dimostrare che la lesione si sia tradotta in un effettivo pregiudizio patrimoniale.

La Cassazione lo ha affermato anche con sentenza n. 4673 del 10 marzo 2016, non accordando detta voce di danno ad una professionista, sulla cui attività lavorativa (di carattere intellettuale), l’infortunio -  da cui era dipesa una diminuzione della capacità motoria – aveva inciso ben poco.

La menomazione della capacità lavorativa specifica – ha chiarito innanzitutto la Suprema Corte -  configurando un pregiudizio patrimoniale, va ricondotta nell'ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico (Corte di Cassazione, sentenza n. 1879 del 27 gennaio 2011).

Danneggiato dimostri l’effettivo pregiudizio patrimoniale

E costituisce per l’appunto acquisizione pacifica – proseguono gli ermellini – quella secondo cui il grado di invalidità permanente determinato da una lesione della integrità psicofisica, non determina automaticamente la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato, né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito (o trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, che presumibilmente avrebbe svolto) e la diminuzione o il mancato conseguimento del guadagno in conseguenza del fatto dannoso.

 

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