Strada bagnata Comune responsabile

Pubblicato il 23 febbraio 2017

Due nuove ordinanze di Cassazione, entrambe depositate il 22 febbraio 2017, hanno interessato altrettante vicende in cui un ente comunale era stato adito in giudizio per rispondere a titolo di responsabilità nella custodia delle strade.

Tubo rotto non è un’insidia

Nel primo caso, oggetto della pronuncia n. 4643/2017, gli Ermellini hanno ribaltato la decisione con cui i giudici di merito, in entrambi i gradi, avevano respinto le ragioni dei genitori di un ragazzo che avevano richiesto un risarcimento al Comune per i danni patiti dal figlio che, alla guida di un motorino, era caduto a terra a causa della presenza di acqua sul manto stradale, dovuta ad una perdita non riparata dall’ente comunale.

La Sesta sezione civile, nel dettaglio, ha ritenuto censurabile la decisione della Corte d’appello, la quale aveva rigettato la domanda attorea sul rilievo che la fuoriuscita di acqua dal tubo rotto a margine del marciapiede avesse costituito non un pericolo permanente e connesso alle condizioni proprie della strada, bensì un’insidia sorta in conseguenza del fatto di terzo.

Nella specie, tuttavia, i giudici di secondo grado non avevano in alcun modo spiegato per quale ragione la rottura del tubo potesse essere ricondotta al citato fatto di terzo, terzo che, peraltro, non era stato neppure identificato.

Trattandosi, difatti, di un tubo che riversava acqua sul marciapiede, la decisione di merito avrebbe dovuto, quantomeno,  spiegare le ragioni per le quali era da escludere la responsabilità del Comune in relazione ad una perdita massiccia di acqua, non riparata.

Sarebbe spettato al Comune, ossia, dimostrare che, per le dimensioni del fenomeno o per la sua rapidità, non era stato possibile alcun tempestivo intervento riparatore.

Caduta per causa esclusiva del ciclista

Diversa la conclusione a cui sono giunti i giudici di legittimità con l’ordinanza n. 4638/2017, pronunciata sempre dalla Sesta sezione civile con riferimento ad un sinistro occorso ad un ciclista, inciampato in un tombino stradale.

Nella vicenda esaminata, la Suprema corte ha aderito alle conclusioni rese dalla Corte d’appello che aveva dato conto di tutte le ragioni per le quali aveva ritenuto che l’incidente fosse ascrivibile ad integrale responsabilità dell’utente della strada.

Questo, alla luce sia delle testimonianze rese in sede istruttoria, sia dagli specifici rilievi sullo stato dei luoghi per quel che concerneva, altresì, l’ora del sinistro e la prevedibilità del medesimo con l’ordinaria diligenza.

Era stato evidenziato, in particolare, che il danneggiato abitava nella strada dove era caduto, strada interessata da lavori di rifacimento ben visibili che egli non poteva non conoscere. L’incidente, inoltre, si era verificato a mezzogiorno, in un’ora, ossia, di massima luminosità.

In definitiva, il ciclista, con il suo comportamento, aveva integrato gli estremi del caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il bene in custodia e l’evento.

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