Con ordinanza interlocutoria n. 22066, pubblicata il 31 luglio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione Quarta Civile – ha rimesso alle Sezioni Unite una questione di massima di particolare importanza: la possibilità o meno di riconoscere il privilegio previsto dall’art. 2751-bis, n. 1, c.c. ai crediti derivanti dal mancato versamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti a un fondo di previdenza complementare negoziale (nella specie, il Fondo Prevedi).
La questione all'attenzione delle SU riguarda, in primo luogo, la qualificazione giuridica – retributiva o previdenziale – dei versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare.
Da tale qualificazione dipende la spettanza del privilegio previsto dall’art. 2751-bis, n. 1, c.c., il cui riconoscimento presuppone la natura retributiva delle somme dovute.
Le somme in esame sono quelle che il datore di lavoro ha omesso di versare al fondo, ma che spettano al lavoratore in base al rapporto di lavoro e agli accordi contrattuali applicabili.
Una Cassa Edile aveva proposto opposizione allo stato passivo del fallimento di una società, chiedendo l’ammissione privilegiata del credito di € 13.944,86 per contributi non versati al fondo pensione complementare. Il Tribunale aveva rigettato la domanda, affermando che si trattava di un credito chirografario, privo del requisito di retributività e fondato su contrattazione collettiva, e non su disposizione di legge.
La Cassa ha sostenuto che i contributi al fondo sono il frutto di un mandato del lavoratore in favore del datore di lavoro, il quale avrebbe l’obbligo di versarli al fondo in funzione di retribuzione differita. L’eventuale omissione integrerebbe un inadempimento che priva il lavoratore di una componente retributiva, con conseguente diritto al privilegio previsto per i crediti da lavoro subordinato.
Le Sezioni Unite (Cass. n. 4684/2015; n. 6928/2018; n. 16084/2021) hanno finora escluso che i contributi alla previdenza complementare negoziale abbiano natura retributiva, qualificandoli come prestazioni previdenziali privatistiche, prive di fondamento legale, e quindi non assistite da privilegio.
Tuttavia, la Cassazione, con sentenza n. 18477/2023, ha affermato che, finché i contributi non sono versati, le somme trattenute mantengono natura retributiva, riconoscendo così al lavoratore (non al fondo) la legittimazione ad insinuarsi al passivo con privilegio.
Ebbene, secondo la Corte rimettente, il riconoscimento, da parte della recente giurisprudenza, della legittimazione del lavoratore a insinuarsi al passivo rende ora necessario approfondire la natura giuridica del credito oggetto di causa.
Pertanto, preso atto del contrasto tra orientamenti, la Corte ha sollecitato un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, al fine di:
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