Procedura concorsuale e irragionevole durata: la Corte costituzionale conferma la legittimità del termine legale di sei anni.
Con la sentenza n. 102 depositata l’8 luglio 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2-bis, della Legge n. 89/2001 (Legge Pinto), nella parte in cui stabilisce che la durata ragionevole delle procedure concorsuali sia pari a sei anni.
Le censure erano state sollevate dalla Corte d’appello di Venezia, in riferimento agli articoli 3, 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
L’articolo 2, comma 2-bis, della Legge Pinto, introdotto con il decreto-legge n. 83/2012, prevede che la durata ragionevole delle procedure concorsuali sia pari a sei anni, termine superato il quale può essere riconosciuto un equo indennizzo per l’irragionevole durata del procedimento.
Nel caso specifico, alcuni ex dipendenti di una società, dichiarata fallita nel 2013, avevano promosso un’azione per ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge Pinto, essendo la procedura ancora pendente dopo più di undici anni.
Il giudice rimettente ha ritenuto che la durata predeterminata in sei anni, applicabile anche a procedure connotate da elevata complessità, sia irragionevole e pregiudizievole per il diritto di difesa e per la tutela dei creditori.
La Corte ha respinto le censure di incostituzionalità.
Compatibilità con l’art. 6 CEDU
Secondo i giudici costituzionali, in primo luogo, la fissazione legislativa di un termine di sei anni risulta coerente con lo standard convenzionale europeo, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che consente l’individuazione normativa di soglie temporali presuntive purché non applicate rigidamente.
Esclusione dell’automatismo
La Corte ha poi chiarito che non vi è alcun automatismo tra il superamento del termine di sei anni e la sussistenza del diritto all’indennizzo. Al contrario, il giudice dell’equa riparazione è tenuto a valutare:
Ne consegue che la disposizione non comprime la discrezionalità giudiziale, ma introduce un criterio legale oggettivo funzionale alla certezza del diritto.
Possibilità di estensione a sette anni
La Consulta ha inoltre dato atto che, in base al diritto vivente elaborato dalla Corte di cassazione, il termine di sei anni può estendersi fino a sette anni in presenza di particolare complessità del procedimento (es. numerosi creditori, giudizi recuperatori, beni da bonificare).
Nessuna violazione dell’art. 24 Cost.
Secondo la Corte costituzionale, infine, il rischio che gli organi della procedura evitino di attivare giudizi recuperatori per non sforare il termine legale è solo teorico. La norma non incide sulla possibilità di agire in giudizio né attribuisce automaticamente responsabilità agli organi della procedura per i ritardi.
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