Per la determinazione del reddito derivante dall’esercizio delle professioni si segue il principio “di cassa”.
Non si considera, quindi, l’anno in cui matura il diritto o sorgono le obbligazioni, ma l’anno in cui i compensi sono stati percepiti e le spese sostenute.
E' l'orientamento più volte affermato della Suprema Corte, per come richiamato dalla Cassazione nel testo dell'ordinanza n. 24996 del 19 agosto 2022, pronunciata nella causa attivata da un contribuente, un avvocato, per opporsi ad un avviso di accertamento.
Nel caso in esame, la CTR si era posta in contrasto con la richiamata interpretazione, sostenendo, erroneamente, che poiché le fatture del professionista erano state emesse nel 2004, i compensi percepiti andavano a comporre il reddito del 2004 e non del 2005.
Nella stessa pronuncia, gli Ermellini hanno anche ricordato che nel giudizio tributario non è ammessa la prova testimoniale.
Di conseguenza, la decisione delle commissioni non può fondarsi esclusivamente "su dichiarazioni scritte provenienti da terzi, che seppure ammissibili processualmente, hanno solo valore indiziario e non costituiscono prova di per sé in assenza di altri elementi".
Le cose, tuttavia, cambieranno a breve: si rammenta, infatti, che con la riforma del processo tributario - recentemente approvata e in attesa di pubblicazione in Gazzetta - sarà invece possibile, per il giudice tributario, ammettere la prova testimoniale in forma scritta, in presenza di specifici presupposti.
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