Reati tributari. L’istanza di rottamazione non impedisce, da sola, la confisca

Pubblicato il 06 giugno 2019

In materia di reati tributari, la mera manifestazione di volontà di pagare i debiti tributari, presentata con un’istanza di rottamazione, non basta per impedire con il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, se non c'è l’accordo con il Fisco.  

Lo ha precisato la Corte di cassazione, con la sentenza n. 25061 depositata il 5 giugno 2019, ricordando come la giurisprudenza di legittimità abbia già delimitato l’ambito applicativo della previsione di cui all’articolo 12-bis, secondo comma del D.Lgs. n. 74/2000.

Quest’ultima norma letteralmente prevede: “La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.

Impegno come frutto di un accordo 

Orbene, la Suprema Corte, con sentenza n. 42470/2016, ha ritenuto che l'espressione “si impegna” vada riferita alle ipotesi di accertamento con adesione, di conciliazione giudiziale, di transazione fiscale, nonché di attivazione di procedure di rateizzazione, automatica o a domanda, come l’accordo per il pagamento rateale del debito d’imposta raggiunto con l’Agenzia delle Entrate.

L’uso della nozione di impegno è stato interpretato, quindi, nel senso che non basta una manifestazione di volontà unilaterale ma occorre che l’impegno sia il frutto di un accordo, manifestato nelle diverse forme previste dalla legge, al pagamento e che al pagamento consegua la riduzione del sequestro preventivo.

Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, l’imputato, amministratore di un consorzio accusato di diversi reati tributari, aveva avanzato un’istanza di ammissione al concordato preventivo insieme ad una richiesta di accesso alla rottamazione ter per il pagamento dei debiti tributari.

Istanza che è stata ritenuta, di per sé, inidonea ad impedire il sequestro preventivo ai sensi dell’articolo 12-bis del D.Lgs. richiamato, in assenza di provvedimenti di ammissione e di omologazione.

Omessa Iva anche con fatture per operazioni inesistenti

Nella medesima pronuncia, la Terza sezione penale, nel rigettare tutte le doglianze promosse dall’imputato in opposizione della misura cautelare, ha ribadito anche un ulteriore indirizzo della giurisprudenza di legittimità in tema di reati tributari e finanziari.

Ha ricordato, così, l’orientamento secondo cui il delitto di omessa dichiarazione IVA è configurabile anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti.

Secondo la normativa tributaria, infatti, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione.

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