Reati tributari: misure cautelari sulla base di presunzioni

Pubblicato il 14 gennaio 2021

Anche se il giudice penale non può, in linea generale, fare ricorso alle presunzioni tributarie semplici, tuttavia, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari reali, è sufficiente la oggettiva sussistenza indiziaria del reato fiscale, a prescindere da qualsiasi profilo che riguardi la colpevolezza del suo autore.

E’ il principio ribadito dalla Corte di cassazione, con sentenza n. 1083 del 13 gennaio 2021, pronunciata sul ricorso avanzato da un Pubblico ministero avverso il rigetto alla richiesta di applicazione di misura cautelare reale nei confronti di una Srl e del suo amministratore unico, in relazione al delitto di cui all'articolo 2 del D. Lgs. n. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti).

Il Tribunale del riesame, in particolare, aveva respinto la domanda di sequestro preventivo nella disponibilità della società e, in subordine, dei beni di valore equivalente nella disponibilità dell’amministratore, condividendo il giudizio del GIP riguardo alla carenza di prova della asserita sovrafatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti.

Prova della sovrafatturazione carente? Niente sequestro

La Seconda sezione penale ha confermato tali conclusioni: nel caso esaminato, l'attività di indagine non aveva fornito alcun elemento concreto da cui desumere l'insussistenza oggettiva di parte delle operazioni, non essendovi alcun principio di prova che potesse smentire la veridicità delle fatture contestate.

Nel suo appello, infatti, il Pm si era limitato a richiamare genericamente i calcoli effettuati dalla Guardia di finanza nel relativo provvedimento motivato, senza individuare in concreto le operazioni di sovrafatturazione asseritamente poste in essere.

In definitiva, la decisione impugnata non aveva escluso, in linea di principio, la possibilità di fare ricorso alle presunzioni tributarie - come per contro contestato dal Pubblico ministero - ma aveva ritenuto che il calcolo induttivo dell'imponibile fondato sulle presunzioni tributarie medesime non potesse colmare la grave carenza probatoria riscontrata.

Per gli Ermellini, si trattava di motivazione non apparente che poteva anche risultare censurabile ma non in sede di legittimità.

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