Revocatoria fallimentare anche sui compensi del liquidatore

Pubblicato il 29 settembre 2021

Nell'ordinanza n. 26422 depositata il 28 settembre 2021, la Corte di cassazione si è occupata della tematica delle esenzioni dalla revocatoria fallimentare, soffermandosi sulla specifica questione relativa all’inclusione o meno in esse del compenso del liquidatore della società poi fallita.

E’ stato chiarito, ossia, se il compenso del liquidatore della società sia revocabile o sia esente dalla revocatoria fallimentare.

Nel caso al vaglio della Suprema corte, l’ex liquidatore di una società cooperativa a r.l. aveva impugnato la decisione con cui, in sede di merito, il fallimento della società aveva ottenuto la revoca del pagamento a lui effettuato a titolo di compensi per l’attività espletata nella sua qualità di liquidatore unico.

La Corte territoriale aveva escluso che ricorresse, nella fattispecie, un caso di esenzione dall’azione revocatoria come, per contro, invocato dal liquidatore.

Questi si era rivolto ai giudici di legittimità, asserendo che l’attività svolta come liquidatore e, quindi, il relativo compenso, andavano sussunti nella norma di cui all’art. 67 lettera a) o f), comma 3 della Legge fallimentare.

Doglianza, questa, giudicata infondata dagli Ermellini, i quali, sul punto, hanno confermato le statuizioni della Corte territoriale.

Il compenso del liquidatore non rientra tra i casi di esenzione

Nel sistema vigente – ha puntualizzato la Suprema corte - il principio applicabile è quello della revocabilità dei pagamenti e negozi posti in essere nel cosiddetto periodo sospetto mentre i casi di esenzione dalla revocatoria si pongono nei termini di vere e proprie eccezioni.

In proposito, è stato osservato che l’eterogeneità delle situazioni prese in considerazione e fatte oggetto di esonero da parte della giurisprudenza indica, come unico punto di unificazione, il fatto che esse rispondono a particolari interessi che il legislatore ha ritenuto “superiori”.

Ciò posto, l’interpretazione delle diverse situazioni di esenzione deve sicuramente rapportarsi con la ragione specifica che, ipotesi per ipotesi, viene a giustificarle, per porsi in termini di stretta coerenza con il particolare interesse superiore che le presiede.

Nel testo della decisione, quindi, è stato fatto espresso richiamo a quanto sancito alla lettera a), comma 3 dell’art. 67 della Legge fallimentare che, espressamente, esclude dall’azione revocatoriai pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell’attività d'impresa nei termini d'uso”.

Per come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, tale esenzione risulta direttamente intesa a favorire la conservazione dell’impresa nell’ottica dell’uscita della crisi e, di conseguenza, la stessa fa riferimento ai pagamenti delle forniture, quali negozi immediatamente espressivi dell’esercizio dell’attività di impresa e sempre che siano stati effettuati secondo i termini d’uso.

Constatazione, questa, già di per sé idonea ad escludere dall’ambito coperto dall’esenzione in discorso il pagamento del compenso del liquidatore.

Difatti – ha continuato la Cassazione – il contratto stipulato con il liquidatore e il conseguente pagamento non rientrano nel novero delle forniture che hanno caratterizzato l’esercizio dell’attività d'impresa.

A seguire, è stata esclusa anche la ricorrenza, nella fattispecie, dell’esenzione dall’azione revocatoria prevista nell’art. 67, comma 3 lettera f) che pure il ricorrente aveva invocato.

Tale esonero riguarda i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito.

Si tratta di un’esenzione a favore dei soggetti che prestano la loro opera nell’impresa senza poter incidere nelle scelte aziendali e su quelle relative alla priorità dei pagamenti.

Anche tale esenzione, secondo il Collegio, trova la sua ragion d’essere nella protezione del fattore della produzione, costituito dalla forza lavoro, che finisce per aiutare la conservazione dell’organismo produttivo e la funzionalità del medesimo.

Giustificazione, questa, non applicabile per il caso dell’amministratore o liquidatore della società i quali operano – non subiscono – la scelta di soddisfare prioritariamente un credito piuttosto che un altro, decidendo i soggetti verso cui dirigere i pagamenti.

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