La Cassazione ha respinto il ricorso promosso da un promotore finanziario che, nell’ambito di un’indagine per associazione a delinquere e riciclaggio di beni, era stato sottoposto, da parte del Gip, alla misura cautelare degli arresti domiciliati.
L’indagato aveva avanzato ricorso in sede di legittimità contro la decisione del Tribunale di conferma di quest'ultima misura.
Nella sentenza pronunciata dalla Seconda sezione civile – n. 118 del 5 gennaio 2018 - è stato sottolineato come, diversamente da quanto ex adverso sostenuto, non fosse illogico che i giudici della cautela avessero ricondotto la molteplicità dei contratti e degli incontri tra l’indagato e gli accoliti dell’associazione per delinquere ad un contesto illecito più ampio. Di fatto, era emerso che l’attività di trasferimento di denaro proveniente da attività illecita ad opera del ricorrente fosse sistematica e organizzata.
Sul “versante accusatorio” pesavano, altresì, a carico dell’indagato, anche gli accertamenti di carattere investigativo e documentale acquisiti per mezzo di rogatoria, a dimostrazione che l’opera del promotore fosse proprio volta a far uscire dal territorio italiano i capitali illecitamente ottenuti.
A nulla, in definitiva, sono valse le considerazioni dedotte dal ricorrente anche per quel che concerne il motivo sollevato sulle esigenze cautelari.
La circostanza, infatti, che i fatti del procedimento si erano realizzati qualche anno prima e che l’indagato, allo stato, prestasse un’attività lavorativa presso una ditta del tutto estranea allo svolgimento di attività finanziaria, erano stati valutati e apprezzati dal giudice del riesame ma erano prevalsi, nella valutazione complessiva, altri elementi che, invece, denotavano attualità dei pericula fondanti la misura.
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