La rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile è un atto unilaterale e non recettizio, che produce automaticamente l’acquisto del bene da parte dello Stato in assenza di altro titolare.
Tale atto è legittimo anche se motivato da interessi personali o economici del proprietario, senza che il giudice possa sindacarne la causa o ravvisare un abuso del diritto.
Con sentenza n. 23093 pubblicata l’11 agosto 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno chiarito, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., la natura e i limiti della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare.
L’intervento si è reso necessario a seguito di orientamenti contrastanti in giurisprudenza e dottrina, in particolare in merito all'ammissibilità della rinuncia unilaterale alla proprietà di beni immobili e all'eventuale sindacato giudiziale sulla meritevolezza o illiceità dell’atto, specie nei casi in cui esso risulti motivato da interessi esclusivamente personali o patrimoniali del proprietario.
Origine del contenzioso
La vicenda trae origine da un atto notarile con cui due cittadine avevano formalmente rinunciato alla proprietà di alcuni terreni siti in un comune abruzzese, caratterizzati da elevata pericolosità idrogeologica e privi di utilità economica. L’atto era stato trascritto regolarmente, ma successivamente il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia del demanio avevano promosso azione giudiziaria per ottenerne la dichiarazione di nullità, ritenendo che l’operazione fosse priva di causa lecita e finalizzata a trasferire indebitamente oneri e responsabilità allo Stato.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione
I giudici di merito avevano sollevato rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., ritenendo la questione di particolare rilevanza e non ancora risolta in modo univoco dalla giurisprudenza. In particolare, si chiedeva se fosse ammissibile la rinuncia unilaterale alla proprietà immobiliare e quali fossero i limiti di controllo giudiziale sulla causa e sulla meritevolezza dell’atto.
Nella propria disamina, la Corte di cassazione ha ricostruito il quadro degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali precedenti, evidenziando le posizioni contrapposte sull’ammissibilità della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare e sui suoi limiti giuridici.
Le tesi favorevoli alla rinuncia abdicativa
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la rinuncia unilaterale alla proprietà immobiliare, qualificandola come atto giuridico unilaterale non recettizio e non traslativo, che trova fondamento negli articoli 827, 832, 1350 n. 5 e 2643 n. 5 del codice civile. Secondo questa impostazione, la rinuncia rappresenta un esercizio legittimo della facoltà di disporre e produce effetti automatici e diretti senza necessità di controparte.
Le tesi contrarie
Un orientamento opposto ha invece sostenuto che la proprietà immobiliare non possa essere oggetto di rinuncia incondizionata, richiedendo sempre una destinazione giuridica certa del bene. Secondo tale tesi, la rinuncia abdicativa sarebbe ammissibile solo in casi tipici previsti dalla legge (es. abbandono liberatorio) e non potrebbe determinare una vacanza proprietaria, in quanto gli immobili non possono rimanere senza titolare.
Nel risolvere il contrasto interpretativo in esame, le Sezioni Unite hanno enunciato due principi di diritto volti a chiarire la natura giuridica della rinuncia alla proprietà immobiliare e a definire i limiti entro cui è possibile un controllo giudiziale sull’atto.
In primo luogo, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno qualificato la rinuncia alla proprietà immobiliare come atto unilaterale e non recettizio, ossia non subordinato alla conoscenza o all’accettazione da parte di terzi.
La rinuncia non ha carattere traslativo, ma è espressione esclusiva della volontà del proprietario di dismettere il proprio diritto sul bene, in attuazione della facoltà dispositiva riconosciuta dall’art. 832 del codice civile.
Effetto legale della rinuncia
Secondo quanto puntualizzato dalla Corte, la rinuncia produce automaticamente l’effetto di trasferire la proprietà dello stesso bene allo Stato, a titolo originario, ai sensi dell’art. 827 c.c. Ciò avviene ex lege, cioè per effetto diretto della legge, senza che sia richiesta alcuna attività da parte dello Stato, come accettazioni o atti formali. La condizione necessaria è la vacanza del bene, ovvero l’assenza di altri soggetti titolari del diritto, che legittima l’acquisizione da parte del patrimonio statale.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno quindi affrontato la questione relativa alla valutazione dei motivi che spingono il proprietario a rinunciare al bene.
In particolare, si è chiarito che la legittimità dell’atto non viene meno anche quando la rinuncia sia motivata da ragioni meramente utilitaristiche o personali, come ad esempio l’intento di evitare oneri fiscali o manutentivi.
Assenza di sindacato sulla causa o sul motivo della rinuncia
Le SU, in particolare, escludono che il giudice possa intervenire sull’atto dichiarandone:
Tali ipotesi, secondo la Corte, non sono configurabili perché:
La rinuncia, anche se animata da un fine egoistico, è da considerarsi un esercizio legittimo del potere di disposizione del proprietario e, in quanto tale, espressione di un interesse comunque meritevole di tutela giuridica.
Nella sentenza viene anche chiarito che, ai fini della validità della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare, non è richiesta la conformità catastale del bene.
Trattandosi di atto unilaterale non traslativo, finalizzato alla dismissione del diritto e non al trasferimento tra privati, l'efficacia dell’atto non è subordinata all’allineamento tra stato di fatto e dati catastali.
"La medesima natura originaria, e non traslativa, dell’acquisizione degli immobili vacanti al patrimonio dello Stato" - si legge in un passaggio della sentenza - "rende inapplicabili le disposizioni in materia di nullità urbanistiche, conformità catastale e prestazione energetica richiamate nelle difese delle amministrazioni statali".
Di seguito i due principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 23093/2025:
"1.La rinuncia alla proprietà immobiliare è atto unilaterale e non recettizio, la cui funzione tipica è soltanto quella di dismettere il diritto, in quanto modalità di esercizio e di attuazione della facoltà di disporre della cosa accordata dall’art. 832 cod. civ., realizzatrice dell’interesse patrimoniale del titolare protetto dalla relazione assoluta di attribuzione, producendosi ex lege l’effetto riflesso dell’acquisto dello Stato a titolo originario, in forza dell’art. 827 cod. civ., quale conseguenza della situazione di fatto della vacanza del bene. Ne discende che la rinuncia alla proprietà immobiliare espressa dal titolare ‹‹trova causa››, e quindi anche riscontro della meritevolezza dell’interesse perseguito, in sé stessa, e non nell’adesione di un ‹‹altro contraente››".
"2. - Allorché la rinuncia alla proprietà immobiliare, atto di esercizio del potere di disposizione patrimoniale del proprietario funzionalmente diretto alla perdita del diritto, appaia, non di meno, animata da un «fine egoistico», non può comprendersi tra i possibili margini di intervento del giudice un rilievo di nullità virtuale per contrasto con il precetto dell’art. 42, secondo comma, Cost., o di nullità per illiceità della causa o del motivo: ciò sia perché le limitazioni della proprietà, preordinate ad assicurarne la funzione sociale, devono essere stabilite dal legislatore, sia perché non può ricavarsi dall’art. 42, secondo comma, Cost., un dovere di essere e di restare proprietario per «motivi di interesse generale». Inoltre, esprimendo la rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile essenzialmente l’interesse negativo del proprietario a disfarsi delle titolarità del bene, non è configurabile un abuso di tale atto di esercizio della facoltà dominicale di disposizione diretto a concretizzare un interesse positivo diverso da quello che ne giustifica il riconoscimento e a raggiungere un risultato economico non meritato".
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