Risarcimento per licenziamento illegittimo? Prevale il criterio di normalità

Pubblicato il 09 luglio 2019

In caso di licenziamento illegittimo, la misura del risarcimento del danno economico deve essere commisurata ai limiti di prevedibilità del pregiudizio stesso, sulla base di un criterio di normalità. In altre parole, l’indennità economica che il datore di lavoro è obbligato a versare nei confronti del lavoratore ingiustamente licenziato, dalla data di interruzione del rapporto di lavoro fino all’effettiva reintegra, non determina in capo al datore una responsabilità per danni al di là di quelli prevedibili.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18282 dell’8 luglio 2019, respingendo il ricorso di un dipendente che lamentava la riduzione dell’indennità risarcitoria in relazione a un licenziamento illegittimo. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano confermato l’illegittimità del licenziamento inflitto e ridotto il risarcimento del danno in una somma pari a tutte le retribuzioni globali di fatto dal giorno del recesso ai quattro anni successivi, nonostante la vertenza fosse durata ben otto anni.

Il lavoratore, al contrario, sosteneva che la riduzione prospettata in Corte d’Appello fosse del tutto illegittima, in quanto non poteva essere imputata al ricorrente la durata oltre la media del processo. In pratica, le conseguenze dannose discendenti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale non potevano risolversi in un pregiudizio per la parte vittoriosa.

Licenziamento illegittimo, indennità economica commisurata ai limiti di prevedibilità

I giudici della Suprema Corte respingono tutti i motivi di ricorso del lavoratore. In particolare, affermano gli ermellini, la motivazione del giudice del gravame è corretta in relazione alla valutazione delle conseguenze dell'inadempimento datoriale, in quanto coerente con i principi di diritto in tema di responsabilità contrattuale, che sicuramente genera una presunzione di imputabilità al debitore, ma non ne determina una responsabilità per danni al di là di quelli prevedibili dal punto di vista della sussistenza di un nesso causale secondo un criterio di ragionevole derivazione dal comportamento inadempiente.

Quindi, considerato che il licenziamento illegittimo è fonte di responsabilità contrattuale e non extracontrattuale, deve aversi riguardo alla prevedibilità dei danni conseguenti all'illegittimità del recesso, costituendo quello della prevedibilità un parametro di legge.

Non si tratta, ha affermato in sostanza la Cassazione, di riduzione della misura risarcitoria di legge, ma di determinazione delle conseguenze pregiudizievoli connesse all'illegittimità del licenziamento, sicuramente sussistenti in relazione al perdurante stato di disoccupazione, ma in misura, ritenuta dai giudici di merito, congruamente determinata nei limiti di un quadriennio successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

La prevedibilità, infatti, costituisce uno dei criteri di determinazione del danno risarcibile, consistente in un giudizio di probabilità del verificarsi di un futuro danno espresso in astratto che deve tenere peraltro conto di circostanze di fatto concretamente conosciute, attenendo la stessa non già al giudizio di responsabilità, bensì al danno considerato nel suo concreto ammontare e si deve coniugare con il criterio di regolarità causale.

La Corte di Cassazione, infine, respinge anche la pretesa del lavoratore di non aver incluso nell’indennità risarcitoria i premi aziendali ai dipendenti rimasti in servizio, gli aumenti tabellari e di anzianità, poiché il ricorso deve avere, a pena di inammissibilità, carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. Si tratta di voci retributive che attengono a trattamenti accessori non percepiti al momento del licenziamento e che pertanto non possono entrare a far parte della retribuzione globale di fatto.

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