Scritture Sas parziali e incomplete: accomandatari condannati per bancarotta

Pubblicato il 09 dicembre 2021

Definitiva la condanna penale impartita ai soci accomandatari di una Sas per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.

I due amministratori erano accusati di aver tenuto la contabilità della società in maniera tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari dell'impresa.

I giudici di merito, in particolare, avevano rilevato come le scritture contabili rinvenute/consegnate alla curatela erano di per sé incomplete. Mancava, inoltre, gran parte della documentazione menzionata nelle stesse scritture.

Difatti, anche se alcuni libri rinvenuti apparivano tenuti in modo formalmente corretto, le operazioni annotate non erano, comunque, verificabili nella loro effettività, per assenza di fatture ed altri documenti utili a tale scopo.

Reato di bancarotta fraudolenta documentale, configurabilità

Con sentenza n. 44637 del 2 dicembre 2021, la Cassazione ha giudicato infondati i motivi di ricorso sollevati dai due imputati.

Secondo gli Ermellini, infatti, era corretta la valutazione contenuta nelle sentenze di merito circa la configurabilità, nella vicenda esaminata, sia dell'elemento oggettivo che di quello soggettivo del reato contestato.

Quanto all'elemento materiale, era rimasta priva di contestazione la circostanza che la contabilità era stata, nel corso degli anni, redatta in maniera incompleta e che il commercialista della società aveva ricevuto indicazioni sull'attività della società al più verbalmente, essendo rimasta inevasa la sua richiesta di fornitura di cd. "pezze di appoggio".

Tale modalità di tenuta della contabilità dava conto, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, dell'impedimento alla ricostruzione del patrimonio della società e del movimento degli affari.

Come più volte evidenziato in sede di legittimità - ha ricordato la Corte -  la tenuta della contabilità cd. a "macchia di leopardo", ossia tenuta per certi periodi e non per altri, ovvero per alcuni libri e per talune annualità "integri appunto il reato di bancarotta fraudolenta documentale ex art. 216 n. 2, seconda parte, L. Fall., essendo lo stato delle scritture tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio".

Per quel che concerneva, poi, l'elemento soggettivo del reato contestato, la Suprema corte ha ricordato come "l'integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione".

Nella fattispecie in esame, il dolo generico era stato ricavato - senza illogicità - in considerazione della modalità di tenuta della contabilità e dalla consapevolezza di ciò acquisita dagli imputati anche attraverso la sistematica inottemperanza all'invito del commercialista di fornire le cosiddette "pezze d'appoggio".

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