Servitù prediali, vantaggio come qualità del fondo

Pubblicato il 22 marzo 2019

Secondo la Corte di cassazione, per affermare l’esistenza di una servitù non rileva tanto la natura del vantaggio previsto dal titolo quanto piuttosto il fatto che detto vantaggio sia concepito come qualitas fundi in virtù del rapporto, istituito convenzionalmente, di strumentalità e di servizio tra gli immobili, “in modo che l'incremento di utilizzazione che ne consegue deve poter essere fruito da chiunque sia proprietario del fondo dominante, non essendo imprescindibilmente legato ad una attività personale del singolo beneficiario”.

Ai sensi di quanto previsto dall'art. 1027 del Codice civile, infatti, la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo, appartenente ad un diverso proprietario e nella formulazione della norma non sono tipizzate - in modo tassativo - le utilità suscettibili di concretizzare il contenuto della servitù volontaria.

In essa, infatti, sono stabilite solo le condizioni che valgono a distinguere queste ultime dai rapporti di natura strettamente personale, non derivando alcun ostacolo dal principio di tassatività dei diritti reali.

Così, entro tali limiti, qualunque utilità che non sia di carattere puramente soggettivo e che si concretizzi in un vantaggio per il fondo dominante, in relazione alle caratteristiche e alla destinazione del diritto, può assumere carattere di realità.

In detto contesto, costituisce “mera questio facti” stabilire, in base all'esame del titolo, se le parti abbiano inteso costituire una servitù o un diritto meramente obbligatorio.

Così la Corte di cassazione, nel testo della sentenza n. 7561 del 18 marzo 2019.

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