Sicurezza sul lavoro: tutelato anche il lavoratore occupato tramite voucher

Pubblicato il 23 agosto 2022

Normativa sulla prevenzione e sulla sicurezza sul lavoro applicabile anche in caso di lavoratore occupato tramite voucher.

Confermata, dalla Cassazione, la condanna penale per lesioni colpose, aggravate dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, impartita nei confronti di un imputato, datore di lavoro di fatto, per i danni subiti da un uomo durante l'esecuzione di lavori commissionatigli dal primo.

Il prestatore, incaricato della resinatura della carena di un'imbarcazione da pesca che si trovava in secca all'interno di un cantiere, era precipitato al suolo da un'altezza di circa 2,5 metri, procurandosi lesioni encefaliche e vertebrali tali da ridurlo in stato vegetativo permanente.

All'imputato era stato addebitato di non aver adottato, ai sensi dell'art. 2087 del Codice civile, tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica erano necessarie a tutelare l'integrità fisica del prestatore del lavoro, oltre alla violazione degli artt. 111 comma 1 lett.a) e 122 del D. Lgs. n. 81/2008, per non avere, nel quadro di un lavoro temporaneo in quota, scelto le attrezzature più idonee a garantire e mantenere le condizioni di lavoro sicure e per non avere adottato adeguate impalcature o ponteggio o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta delle persone.

Infortuni sul lavoro, applicabilità normativa su prevenzione e sicurezza

L'uomo si era rivolto alla Suprema corte, contestando la sussistenza, all'epoca del fatto, di un rapporto di lavoro tra lo stesso e la vittima.

Nella sua prospettazione, il rapporto di subordinazione non era in realtà attuale, atteso che l'imputato non era presente sul luogo di lavoro ed aveva sconsigliato il prestatore di proseguire con la resinatura, non avendo, peraltro, consegnato, per quel giorno, il voucher per prestazione occasionale utilizzato in tutte le precedenti occasioni.

Doglianza, questa, giudicata infondata dalla Corte di cassazione, pronunciatasi sulla vicenda in esame con sentenza n. 29367 depositata il 25 luglio 2022.

Secondo gli Ermellini, infatti, i giudici di primo e secondo grado avevano spiegato, con motivazione chiara logica ed esaustiva, le ragioni per cui avevano ritenuto sussistere un rapporto di lavoro fra l'imputato e la persona offesa.

Dall'istruttoria era emerso che:

In tale contesto, il ricorrente aveva chiesto di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, chiedendo di porre in essere un'operazione estranea al giudizio di legittimità.

La Corte di Appello, del resto, aveva fatto buon governo dei principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza in relazione all'applicabilità della normativa sulla prevenzione e sulla sicurezza a rapporti quale quello in esame.

TU sicurezza, definizione di lavoratore ampia 

Sul punto, la Cassazione ha ritenuto utile ricordare la definizione di lavoratore contenuta nel TU sulla sicurezza del lavoro, ovvero "la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione".

Una definizione più ampia di quella prevista dalla normativa pregressa, nella quale si faceva espresso riferimento al "lavoratore subordinato" e alla "persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro".

Senza contare che già prima del 2008, la Corte aveva qualificato come lavoratori subordinati "coloro che, indipendentemente dalla continuità e dall'onerosità del rapporto, abbiano prestano la loro attività fuori del proprio domicilio alle dipendenze e sotto la direzione altrui", affermando, altresì, il principio secondo cui "ai fini della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un rapporto di lavoro subordinato deve essere considerato tale in riferimento all'assenza di autonomia del lavoratore nella prestazione dell'attività lavorativa e non già in relazione alla qualifica formale assunta dei medesimo".

Da qui il rigetto del ricorso dell'imputato, con conseguente condanna del medesimo al pagamento delle spese di lite.

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