Società di comodo, cause di disapplicazione della disciplina

Pubblicato il 25 agosto 2021

Eventi sfortunati e un’inettitudine produttiva per mancanza di strategie imprenditoriali possono costituire oggettive situazioni che rendono impossibile conseguire ricavi, legittimando la disapplicazione delle norme sulle società di comodo.

La Cassazione sulla disciplina delle società non operative

Sono “società di comodo” tutti i soggetti (società ed enti) che non superano il cosiddetto “test di operatività”, ossia quando l'ammontare complessivo dei relativi ricavi, incrementi, rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, sia inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti.

In tale situazione, fermo restando l'ordinario potere di accertamento dell'Ufficio finanziario, si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore ad un importo risultante dall'applicazione di criteri ivi indicati, facenti leva sul valore di beni e immobilizzazioni posseduti.

E’ questa la disciplina relativa alle società non operative prevista dall'art. 30 della Legge n. 724/1994, per come riepilogata dalla Corte di cassazione nel testo dell’ordinanza n. 23384 del 24 agosto 2021.

Una disciplina con cui – hanno spiegato gli Ermellini - si è inteso disincentivare il fenomeno dell'uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto.

Nella vicenda specificamente esaminata, la Suprema corte ha accolto il ricorso promosso da una Srl che si era vista respingere, in sede di merito, la domanda di disapplicazione delle disposizioni normative in tema di società non operative.

Oggettiva situazione che rende impossibile conseguire ricavi

La CTR, in particolare, aveva ritenuto che la società contribuente non avesse offerto prova dell'esistenza di una oggettiva situazione di carattere straordinario che avesse reso impossibile il conseguimento di ricavi nella misura prevista dall'art. 30 menzionato.

La società si era rivolta al Collegio di legittimità, censurando la decisione impugnata laddove aveva ritenuto che la disapplicazione della normativa dettata in tema di società di comodo presupponesse la dimostrazione della riconducibilità della non operatività della contribuente all'esistenza di un impedimento oggettivo e assoluto e non anche ad una legittima scelta economica dell'imprenditore.

Doglianza, questa, giudicata fondata dai giudici di Piazza Cavour, alla luce della disciplina sopra ricordata nonché della precisazione secondo cui, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 30, nella formulazione applicabile al caso in esame ratione temporis, andrebbero escluse, dall’applicazione della disciplina antielusiva, le società che dimostrino l'esistenza di “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto ...”.

Una tale formulazione – ha precisato la Corte - consegue alla modifica della norma operata nel 2006, alla luce della quale, ai fini della sottrazione dall'applicazione della disciplina antielusiva, è venuta meno la necessità che tali oggettive situazioni scriminanti debbano avere “carattere straordinario”.

Impossibilità, nozione elastica

La nozione di impossibilità è quindi da intendere in senso elastico, identificandosi con uno specifico fatto, non dipendente dalla scelta consapevole dell'imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell'attività produttiva con risultati reddituali conformi agli standards minimi legali ovvero ne ritardi l'avvio oltre il primo periodo di imposta.

Nel caso in esame, la Commissione regionale aveva escluso che la contribuente avesse offerto la prova della ricorrenza di una circostanza oggettiva idonea a superare la presunzione relativa derivante dal mancato superamento del test di riferimento, ritenendo che la non operatività della contribuente dovesse ricondursi o a “un concentrarsi di eventi sfortunati o ad una "inettitudine produttiva" dovuta a una “mancanza di strategie imprenditoriali”.

Così argomentando, però, non aveva fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, in quanto entrambe le cause individuate erano in realtà idonee a costituire oggettive situazioni che possono rendere impossibile il conseguimento di risultati, derivanti dallo svolgimento dell'attività di impresa, conformi agli standards minimi previsti dall'art. 30.

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