Società sanzionabile ex 231 se è provata la colpa di organizzazione

Pubblicato il 16 gennaio 2023

Nell'indagine riguardante la configurabilità dell'illecito imputabile all'ente nell'ipotesi di sinistro sul lavoro, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa sono rilevanti se è riscontrabile la mancanza o l'inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal D. Lgs. n. 231/01.

Difatti, la ricorrenza di tali carenze organizzative, atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l'imputazione dell'illecito all'ente collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui la società risponde dell'illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui).

Occorre, quindi, che la colpa di organizzazione della persona giuridica sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del dipendente o amministratore dell'ente, responsabile del reato.

In tale contesto, la mancata adozione e l'inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore "non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell'illecito dell'ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall'accusa, mentre l'ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa".

L'assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell'illecito dell'ente.

Infortuni sul lavoro. Colpa di organizzazione da provare

E' sulla base dei predetti assunti che la Corte di cassazione, con sentenza n. 570 del'11 gennaio 2023, ha cassato, con rinvio, la decisione con cui la Corte d'appello, nel sanzionare una Spa a seguito di un incidente mortale sul lavoro occorso ad un lavoratore, non aveva motivato sulla concreta configurabilità di una colpa di organizzazione dell'ente, né aveva stabilito se tale elemento avesse avuto incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto.

I giudici di merito - ha invece precisato la Suprema corte - avrebbero dovuto approfondire anche e soprattutto l'aspetto relativo al concreto assetto organizzativo adottato dall'impresa in tema di prevenzione dei reati, in maniera tale da evidenziare la sussistenza di eventuali deficit di cautela propri di tale assetto, causalmente collegati con il reato presupposto.

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