Spamming. Niente condanna senza pregiudizio

Pubblicato il 11 ottobre 2019

Affinché la condotta di spamming possa assumere rilievo penale occorre che si verifichi, per il destinatario, un effettivo "nocumento".

La Cassazione ha annullato “perché il fatto non sussiste” la condanna per il reato di cui all'art. 167 in relazione all'art. 130 del Codice in materia di protezione dei dati personali, contestato ad un avvocato per aver proceduto al trattamento illecito dei dati personali degli iscritti ad un’associazione, inviando reiteratamente agli stessi numerose email provenienti dal suo indirizzo di posta elettronica, con cui pubblicizzava propri corsi di aggiornamento.

Era stato sostenuto, dai giudici di merito, che l’imputato avesse agito al fine di procurarsi un profitto, consistito nell'ottenere la partecipazione a corsi e convegni da lui patrocinati o organizzati nel settore di interesse dell’associazione, e procurando altresì agli associati un nocumento, integrato dalla necessità di controllare e vagliare le numerose email inviate senza il loro consenso.

Nocumento: concreta lesione della sfera personale o patrimoniale

Con la sentenza n. 41604 del 10 ottobre 2019, la Suprema corte ha escluso che, nel caso in esame, fosse ravvisabile quest'ultimo elemento, ovvero il nocumento richiesto dalla norma incriminatrice di riferimento.

Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato che la nozione di nocumento, coerentemente con l'etimologia del termine, evoca l'esistenza di una concreta lesione della sfera personale o patrimoniale.

Nella specie, i vari destinatari delle mail inviate dall’imputato non avevano ricevuto alcun pregiudizio giuridicamente apprezzabile, avendo solo ricevuto un numero molto contenuto di messaggi (in media non più di tre o quattro) per cui non poteva affatto parlarsi di una significativa invasione del proprio spazio informatico.

La Cassazione ha poi ricordato come, nell'attuale contesto socio-economico, sia molto diffusa la pratica del cd. spamming, ovvero dell'invio in varie forme di una pluralità di messaggi pubblicitari a una vasta platea di utenti senza il consenso di costoro.

Non basta il "fastidio"

In ogni caso, affinché tale condotta assuma rilievo penale, occorre che si verifichi per ciascun destinatario un effettivo "nocumento", che non può certo esaurirsi nel semplice fastidio di dover cancellare di volta in volta le mail indesiderate, ma deve tradursi in un pregiudizio concreto, anche non patrimoniale, ma comunque suscettibile di essere giuridicamente apprezzato, richiedendosi in tal senso un'adeguata verifica fattuale volta ad accertare, ad esempio, se l'utente abbia segnalato al mittente di non voler ricevere un certo tipo di messaggi e se, nonostante tale iniziativa, l'agente abbia perseverato in maniera non occasionale a inviare messaggi indesiderati, creando così un reale disagio al destinatario.

E nella vicenda in esame, nessun destinatario delle e -mail aveva manifestato la sua opposizione a ricevere i messaggi promozionali di cui si discuteva, il cui invio, peraltro, era avvenuto nel ristretto arco temporale di pochi mesi e in misura contenuta.

In detto contesto, inoltre, si doveva avere riguardo non al numero complessivo di messaggi inviati a tutti gli iscritti all'associazione, ma all'entità dei messaggi spediti a ogni singolo associato, posto che la valutazione del nocumento non può che essere riferita alla dimensione individuale dell'utente e non a quella impersonale del gruppo associato di cui ciascuno di essi faceva parte.

In definitiva, doveva escludersi che la ricezione di tre o quattro mail nell'arco di circa cinque mesi, senza alcuna diffida preventiva rivolta al mittente, potesse costituire un "nocumento" idoneo a integrare la fattispecie contestata, non essendo sufficiente in tal senso qualche generica lamentela rivolta da taluno degli associati non direttamente all’imputato, ma solo alla propria associazione.

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