Spese di pubblicità. Inerenza legata all'attività dell'impresa

Pubblicato il 26 settembre 2011 Per distinguere le spese di pubblicità da quelle di rappresentanza occorre prestare attenzione al principio di inerenza, inteso come il nesso funzionale che collega i componenti negativi allo svolgimento di una specifica attività d’impresa in grado di produrre reddito imponibile. Tale nesso di casualità deve essere valutato con riferimento ad ogni singola fattispecie dato che assume caratteristiche differenti a seconda del tipo di impresa. Dunque, l’inerenza non deve essere correlata strettamente solo alla capacità dell’impresa di conseguire dei profitti, ma piuttosto all’attività dell’impresa nel suo complesso.

Questo è il principio espresso dalla Ctr Lombardia, con la sentenza n. 113/28/2011.

La Commissione tributaria è intervenuta a dirimere una controversia tra una società attiva nel mondo della moda e il Fisco. La prima aveva sostenuto dei costi per eventi cui avevano partecipato personaggi famosi ai quali erano stati forniti gratuitamente degli abiti di rappresentanza, e aveva classificato tali oneri come costi di pubblicità; mentre il Fisco li aveva qualificati come costi di rappresentanza.

Nel ridefinire le due categorie di costi, la Commissione ha precisato che le aziende della moda non possono essere considerate “alla stregua di normali società industriali e/o commerciali”, avvalendosi, nel proprio business, di un modello comunicativo diverso che associa un marchio ad uno stile di vita facilmente riconoscibile. Dunque, le spese di cui sopra possono essere considerate ad “elevata valenza promo-pubblicitaria”, data la loro funzione di influenzare le scelte dei consumatori e, quindi, destinate ad incrementare le vendite dell’azienda. Infine, la Ctr, richiamando anche una vasta giurisprudenza di legittimità, ha ribadito come l’onere della prova dell’inerenza dei costi gravi sempre sul contribuente.
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