Strasburgo. Divieto di donare embrioni conforme alla Cedu

Pubblicato il 28 agosto 2015

Con pronuncia depositata il 27 agosto 2015 (caso Parrillo contro Italia, ricorso n. 46470/11), la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo ha respinto il ricorso di una donna, la quale, dopo il decesso del marito con cui aveva tentato la procreazione assistita, avrebbe voluto donare i propri embrioni creati in vitro per la ricerca scientifica.

Di fronte al rifiuto delle autorità interne, la donna si era dunque rivolta alla Corte di Strasburgo, lamentando come il divieto di donazione degli embrioni per finalità di ricerca (ex art. 13 Legge 40/2004), fosse contrario all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che assicura il rispetto della vita privata, nonché contrario all'art. 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà.

La Grande Camera di Strasburgo, respinta preliminarmente l'eccezione circa il mancato esaurimento dei rimedi interni, ha parimenti respinto, nel merito, le doglianze della ricorrente.

A parere della Corte Edu infatti, il divieto di donazione di embrioni di cui alla Legge 40/2004, costituisce una ingerenza ammessa dalla Convenzione europea, la quale lascia agli Stati membri ampio margine di apprezzamento, soprattutto su questioni che, come la presente, abbiano un particolare risvolto etico e morale e sulle quali non si sia ancora formato un orientamento uniforme.

E l'Italia – secondo la Corte europea – non ha oltrepassato detto margine di apprezzamento, avendo operato un equo bilanciamento tra interessi statali e diritti individuali.

Respinta infine anche l'eccezione sulla presunta violazione del diritto di proprietà, posto che, a detta della Corte di Strasburgo, gli embrioni non possono essere considerati beni nel senso "patrimoniale" del termine.  

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