Studio associato, legittimazione con mandato

Pubblicato il 18 febbraio 2016

Lo studio associato non è automaticamente legittimato ad agire in giudizio per il pagamento dei compensi professionali dei singoli professionisti, in assenza della prova di apposito mandato.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell'ambito di una controversia di opposizione a decreto ingiuntivo cui era tenuta una società per il pagamento del corrispettivo richiesto da un’associazione di commercialisti.

Nel corso del giudizio era stata eccepita e rilevata carenza di legittimazione attiva in capo all'associazione professionale, essendo le prestazioni contabili a cui il corrispettivo faceva riferimento, riconducibili unicamente ai singoli professionisti che le avevano effettuate.

No legittimazione alternativa professionista/studio

Del medesimo parere la Corte di Cassazione, secondo cui, i professionisti che si associano per dividere le spese, gestire congiuntamente e dividere i proventi della propria attività, non trasferiscono per ciò solo all'associazione costituita la titolarità della prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del loro cliente. Non sussiste dunque una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale.

Legittimazione attiva solo con incarico

D’altro canto – precisa ancora la Corte - l’amministrazione e l’ordinamento interno delle associazioni non riconosciute sono regolate dagli associati (art. 36 codice civile), che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti o da essi singolarmente curati.

Ne consegue che ove il giudice accerti tale circostanza, può sussistere la legittimazione attiva dello studio professionale associato – cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico.

Ma nel caso in esame – conclude la Suprema Corte con sentenza n. 3128 depositata il 17 febbraio 2016 – i giudici di merito non hanno ritenuto raggiunta la prova in questione (in ordine cioè al conferimento del mandato)

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