Sull’esterovestizione contribuenti in difesa

Pubblicato il 19 maggio 2008

In materia di esterovestizione, il Fisco sta lavorando in questi ultimi tempi per mettere a punto una linea d’attacco sulla sede di direzione effettiva di società operative di diritto estero facenti parte di gruppi multinazionali italiani. In altri termini, l’onere della prova dell’esistenza oltreconfine di una società spetta all’Amministrazione finanziaria nell’ipotesi di accertamento fondato sull’articolo 73, comma 3, del Tuir. L’onere si fonda sulla dimostrazione di elementi di prova di natura formale (mancanza di elementi oggettivi di radicamento sul territorio estero) e sostanziale (fatti incontrovertibili che comprovino l’assenza di autonomia giuridica, contrattuale e finanziaria). Per esempio, l’Amministrazione finanziaria stabilisce che si considerano residenti le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato, in alternativa: la sede legale, cioè la sede sociale indicata nello statuto o atto costitutivo; la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale dell’attività (fissato per statuto ma anche in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato). In altri termini, in sede di confronto tra Fisco e contribuente è proprio l’esposizione di dati tangibili che, in sede di attacco, l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare, e, in sede di difesa, il contribuente deve addurre. Pertanto, ne consegue che l’Amministrazione finanziaria può considerare le società estere come “esterovestite” solo se si trova:

- in presenza di strutture di “puro artificio”, nel senso chiarito in sede comunitaria;

- in mancanza di effettiva attività d’impresa;

- in assenza di idonea organizzazione funzionale di uomini e mezzi nello Stato di localizzazione delle società estere.

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