Supplenze scuola, normativa italiana contraria alle regole Ue

Pubblicato il 27 novembre 2014 La Corte di giustizia della Ue, con sentenza del 26 novembre 2014 relativa alle cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, si è pronunciata sulla legittimità, alla luce della normativa europea, del sistema del nostro Paese riferito alle supplenze scolastiche e, in particolare, sull'interpretazione delle clausole 4 e 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato della direttiva 91/533/CEE.

Tale questione è stata sollevata nell'ambito di più controversie che vedevano opposti nove insegnanti, membri del personale di scuole pubbliche, in merito alla qualificazione dei contratti di lavoro che li legavano ai datori di lavoro.

Secondo i giudici europei, in particolare, la citata clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro, va interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella italiana, che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, “il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo”.

Secondo la Corte, infatti, tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, non consentirebbe di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine.

E ciò, senza contare che la medesima non prevede nessun'altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
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