Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto parzialmente il ricorso presentato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili contro il silenzio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Al centro della vicenda, la richiesta dei Commercialisti di sottoscrivere un protocollo d’intesa analogo a quello già in essere con i Consulenti del Lavoro, per poter rilasciare l’Asseverazione di Conformità (Asse.Co.), lo strumento che attesta la regolarità delle imprese sotto il profilo contributivo e retributivo.
Il giudice amministrativo – con sentenza n. 9974 del 23 maggio 2025 – ha stabilito un limite di 90 giorni entro cui l’Ispettorato dovrà esaminare la richiesta, e, in caso di ulteriore inattività, ha già designato un commissario ad acta che interverrà per garantire l’azione necessaria.
Secondo Elbano de Nuccio, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, "la decisione del TAR del Lazio rappresenta una pronuncia rilevante: sancisce in modo netto che le istituzioni hanno il dovere di dialogare e non possono escludere o trattare in modo diverso professionisti che, per legge, hanno pari titolo a contribuire al buon funzionamento del mercato del lavoro".
Asse.Co., acronimo di Asseverazione di Conformità, è uno strumento volontario con cui un professionista abilitato – attualmente i Consulenti del Lavoro – attesta, per conto di un’impresa, la regolarità dei rapporti di lavoro e il rispetto della normativa in materia di:
contribuzione previdenziale,
retribuzioni,
norme contrattuali collettive di lavoro.
L’Asse.Co. ha una funzione di certificazione preventiva: serve a dimostrare che un’impresa è in regola con gli obblighi lavoristici e contributivi. Lo scopo è:
favorire la trasparenza nei rapporti di lavoro;
rendere più efficiente l’azione di vigilanza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro;
ridurre il rischio di ispezioni per le imprese in regola;
fornire una sorta di “bollino di affidabilità” sul piano della compliance giuslavoristica.
Chi può rilasciare l’Asse.Co.
Ad oggi, l’Asse.Co. può essere rilasciata solo dai Consulenti del Lavoro, sulla base di un protocollo d’intesa sottoscritto con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL).
Proprio per questo, il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ha presentato ricorso al TAR Lazio, chiedendo di poter stipulare un analogo accordo e ottenere la facoltà di rilasciare anche loro tale attestazione, considerandosi professionalmente qualificati in materia giuslavoristica.
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha presentato un ricorso contro il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) per ottenere:
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha presentato un ricorso ai sensi degli articoli 31 e 117 del Codice del processo amministrativo. Il ricorso, notificato il 6 febbraio 2025 e depositato il 10 febbraio successivo, è stato proposto contro il silenzio dell’Amministrazione, accusata di non aver risposto all’istanza presentata.
Nel ricorso si evidenzia che:
Secondo il Cndcec:
Secondo il CNDCEC:
il silenzio mantenuto dagli enti pubblici è da considerarsi illegittimo;
il Consiglio dei commercialisti è un ente pubblico che rappresenta una categoria professionale, quindi ha un interesse collettivo legittimo e specificamente tutelato dalla legge;
l’istanza presentata segnalava una disparità di trattamento ai danni dei commercialisti, visto che la normativa (legge n. 12 del 1979, art. 1) equipara le competenze professionali delle due categorie;
il comportamento degli enti pubblici, che si sono limitati a stipulare accordi solo con i consulenti del lavoro, violerebbe i principi di imparzialità, correttezza amministrativa e libera concorrenza e contrasterebbe con quanto previsto dalla legge 241/1990.
Nel corso del procedimento, il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro hanno sollevato alcune obiezioni:
è stata evidenziata l’incompetenza del Ministero, dal momento che — a seguito della riforma introdotta dal decreto legislativo 149/2015 — le funzioni di vigilanza in materia lavoristica sono state trasferite in via esclusiva all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che opera in modo autonomo;
è stato affermato che non esiste un obbligo giuridico per lo Stato di estendere automaticamente protocolli d’intesa ad altre categorie professionali, sottolineando che la scelta di firmare accordi di questo tipo rientra nella piena discrezionalità dell’amministrazione. Si tratta, hanno ribadito, di valutazioni che richiedono approfondimenti sia tecnici che organizzativi, e che non possono essere imposte dal giudice.
Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti, nella nota inviata all’Amministrazione, ha riconosciuto che la possibilità concessa ai Consulenti del Lavoro di rilasciare l’asseverazione di regolarità (Asse.Co.) non deriva da una legge, ma da un accordo volontario tra pubbliche amministrazioni, stipulato ai sensi dell’art. 15 della legge 241/1990.
Si tratta quindi di un’intesa basata su una scelta amministrativa, e non su un diritto riconosciuto per legge. Partendo da questo presupposto, il Consiglio ha chiesto formalmente all’Ispettorato Nazionale del Lavoro di avviare un procedimento per la sottoscrizione di un accordo analogo, che consenta anche ai commercialisti di rilasciare l’Asse.Co., esattamente come già avviene per i consulenti del lavoro.
Tuttavia, questa richiesta non ha dato automaticamente inizio a un procedimento amministrativo vero e proprio. Più precisamente, i commercialisti hanno sollecitato l’avvio di un’azione amministrativa, che nella loro visione dovrebbe seguire lo stesso percorso già compiuto con l’altra categoria professionale.
La questione centrale per il Tribunale Amministrativo del Lazio diventa quindi capire se, in casi come questo, l’amministrazione ha l’obbligo di attivarsi – cioè di procedere, anche prima che sia obbligata a concludere un procedimento.
Normalmente, quando un cittadino o un ente presenta un’istanza che dà origine a un procedimento tipico previsto dalla legge, la pubblica amministrazione è tenuta quantomeno a concludere quel procedimento entro un certo termine. Ma in situazioni non regolate in modo esplicito da una norma, come quella in esame, bisogna verificare se esista comunque un obbligo giuridico di iniziare l’iter.
Secondo l’articolo 31 del Codice del processo amministrativo, è possibile chiedere al giudice di accertare l’obbligo dell’amministrazione di rispondere non solo quando un procedimento è già formalmente avviato, ma anche "negli altri casi previsti dalla legge". La questione interpretativa, quindi, è capire cosa si intenda con questa espressione.
Il TAR spiega che, sulla base della giurisprudenza consolidata, è possibile fare ricorso contro il silenzio dell’amministrazione non solo quando esiste una norma che impone espressamente un obbligo di risposta, ma anche quando il cittadino o l’ente ha un interesse legittimo e qualificato a ottenere una decisione da parte della pubblica amministrazione.
In altre parole, se una parte ha cercato di attivare un dialogo con l’amministrazione e non ha ottenuto risposta, e se quella richiesta si basa su diritti o aspettative fondate, allora è lecito chiedere l’intervento del giudice, anche in assenza di un obbligo formale esplicitato dalla legge.
Il principio che emerge è che la pubblica amministrazione non può restare inerte quando è chiamata a esprimersi su una questione rilevante per un soggetto che ha un interesse diretto e riconoscibile secondo l’ordinamento.
Passando a trattare il caso specifico del ricorso, la sentenza n. 9974 del 23 maggio 2025 dichiara inammissibile l’azione promossa contro il Ministero del Lavoro. Infatti, pur essendo stato tra i destinatari della richiesta, il Consiglio dei Commercialisti ha chiesto di sottoscrivere un accordo solo con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, senza sollecitare alcuna azione specifica da parte del Ministero.
Per questo motivo, il Tribunale accoglie l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato e riconosce il difetto di legittimazione passiva del Ministero in questa vicenda.
Il Tribunale riconosce invece che il ricorso presentato contro l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è fondato, anche se entro determinati limiti.
Il Consiglio dei Commercialisti, in quanto ente pubblico rappresentativo della categoria, ha una posizione giuridica tutelata, come previsto dall’art. 29 del d.lgs. 139/2005, e ha legittimamente presentato una proposta per la sottoscrizione di un protocollo d’intesa, analogo a quello già stipulato con i Consulenti del Lavoro.
Il fatto che questa possibilità sia stata concessa a un’altra categoria professionale e non ai commercialisti, senza una motivazione formale, potrebbe determinare una forma di trattamento discriminatorio, che giustifica l’esame della proposta.
Il dovere dell’Ispettorato di esaminare la proposta del Consiglio emerge da due fattori:
Però, se da un lato la richiesta del Consiglio dei Commercialisti di vedere valutata la propria proposta (cioè di avviare e concludere il relativo procedimento) è legittima e fondata, dall’altro lato non può essere accolta la richiesta più specifica che chiedeva al giudice di obbligare l’Ispettorato a firmare direttamente il protocollo d’intesa.
Secondo la normativa vigente, il giudice può esprimersi sulla fondatezza della richiesta solo nei casi in cui l’attività richiesta sia obbligatoria e vincolata per legge, oppure quando l’amministrazione non ha più margini decisionali e non sono necessari ulteriori approfondimenti tecnici o istruttori.
Nel caso in esame, l’eventuale stipula del protocollo rientra nella sfera discrezionale dell’Ispettorato, e richiede valutazioni tecniche e organizzative. Di conseguenza, non si può imporre la conclusione dell’accordo, ma solo sollecitare una risposta formale.
In conclusione, il Tribunale ha stabilito che il ricorso presentato è solo parzialmente ammissibile e fondato. Di conseguenza, ha ordinato all’Ispettorato Nazionale del Lavoro di valutare formalmente la proposta di accordo avanzata dal Consiglio dei Commercialisti entro novanta giorni, considerando la complessità della questione trattata.
Per evitare ulteriori ritardi, il giudice ha già nominato un commissario ad acta che interverrà solo in caso di persistente inerzia da parte dell’Ispettorato, con la possibilità di delegare l’incarico secondo le modalità previste nel dispositivo della sentenza.
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