Traffico di influenze. Relazioni e capacità d’influenzare esistenti

Pubblicato il 24 novembre 2017

Millantato credito e traffico di influenze. Differenze

Il delitto di millantato credito ex art. 346 c.p., si differenzia da quello di traffico di influenze di cui all’art. 346 bis c.p., in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale; mentre il traffico di influenze postula una situazione fattuale nella quale la relazione sia esistente, al pari della capacità di influenzare, condizionare o comunque orientare la condotta del pubblico ufficiale.

Così, in sintesi, la Corte di Cassazione ha tracciato la linea di confine tra il delitto di millantato credito ed il più recente delitto di traffico di influenze, introdotto con Legge n. 190/2012.

Più in particolare, affermano gli Ermellini, il traffico di influenze va ad incriminare le condotte nelle quali le relazioni tra mediatore e pubblico agente siano esistenti e reale sia il potere di influenza (del mediatore sul pubblico funzionario). Viceversa, il millantato credito incrimina i casi in cui il potere di influenza non ci sia, ma venga ugualmente ostentato dal millantatore, al fine di ricevere un indebito vantaggio da chi, raggirato, è configurato come vittima del reato.

Il compratore di influenze, in altre parole, perché possa essere considerato soggetto attivo del reato, deve essere consapevole che il potere di influenza sia esistente e, quindi, che il pericolo per la disfunzione dei pubblici apparati a suo vantaggio sia obiettivo e concretamente perseguibile.

Al contrario, la fattispecie di millantata credito verrà in rilievo tutte le volte in cui il credito sia fasullo e, pertanto, non esista né le relazione con il pubblico ufficiale, né tanto meno l’influenza.

E’ tutto quanto si legge nella sentenza n. 53332 del 23 novembre 2017, resa dalla quinta sezione penale, annullando con rinvio – e sollecitando in proposito la riqualificazione dei fatti nel reato di traffico d’influenze anziché di millantato credito – la pronuncia di condanna di un maresciallo dei carabinieri, che aveva ricevuto una somma di denaro per interferire su di un procuratore della Repubblica circa lo stato di avanzamento di un procedimento penale.

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