Nelle unioni civili, come nei matrimoni, può riconoscersi un assegno mensile dopo lo scioglimento se, dopo aver accertato l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, se ne individui la funzione assistenziale e la funzione perequativo - compensativa.
La funzione assistenziale serve a garantire al partner economicamente più debole ciò che è necessario per condurre una vita autonoma e dignitosa. In questo caso, l’importo non si calcola sul tenore di vita avuto in passato, ma solo sui bisogni essenziali.
La funzione perequativo - compensativa si applica quando lo squilibrio economico deriva dalle scelte fatte durante la vita insieme, ad esempio se uno dei partner ha sacrificato la propria carriera o reddito per dedicarsi alla famiglia. In questo caso, l’assegno tiene conto del contributo fornito alla gestione della casa e alla formazione del patrimonio comune o personale dell’altro partner.
La funzione assistenziale da sola è sufficiente per giustificare l’assegno; se però ricorre anche quella compensativa, quest’ultima assorbe l’assistenziale e l’importo viene parametrato al valore concreto dei sacrifici e del contributo dato dal richiedente.
Con l’ordinanza n. 25495, depositata il 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione, Prima sezione civile, è tornata sul tema dell’assegno dopo lo scioglimento di un’unione civile, fissando criteri chiari per il suo riconoscimento.
La decisione si inserisce in un percorso giurisprudenziale già avviato dalle Sezioni Unite nel 2023, che avevano riconosciuto la rilevanza anche della convivenza di fatto anteriore alla formalizzazione dell’unione.
L’ordinanza conferma quindi l’allineamento delle unioni civili al matrimonio, valorizzando due funzioni dell’assegno: quella assistenziale e quella compensativo-perequativa.
La vicenda processuale
Nel caso esaminato, l’unione civile era stata contratta nel 2016. Dopo la rottura, una delle parti aveva chiesto lo scioglimento e, insieme, un assegno di mantenimento.
Il Tribunale di Pordenone aveva accolto la domanda, disponendo un assegno mensile di 550 euro. In appello, però, la Corte d’Appello di Trieste aveva riformato la sentenza, negando l’assegno.
Il passaggio alle Sezioni Unite
Contro la decisione era stato proposto ricorso per Cassazione e, in questa sede, la questione era stata rimessa alle Sezioni Unite (sentenza n. 35969/2023), che avevano quindi enunciato un importante principio di diritto: ai fini del riconoscimento dell’assegno nelle unioni civili, va considerata anche la convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione, persino se anteriore alla Legge n. 76/2016.
Di seguito il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite:
Le Sezioni Unite, ciò posto, avevano cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello, in diversa composizione, per una nuova valutazione.
La decisione in sede di rinvio e il nuovo ricorso
In sede di rinvio, la Corte d’Appello di Trieste ha riconosciuto l’assegno, valorizzando le difficoltà lavorative della parte più debole e i sacrifici professionali sostenuti a beneficio della vita comune.
Contro questa nuova sentenza, tuttavia, la parte onerata ha proposto un ulteriore ricorso in Cassazione, deciso con l’odierna ordinanza n. 25495/2025.
Nell'impugnazione, la parte ricorrente ha sostenuto che l’assegno non fosse giustificato e che la Corte d’Appello avesse valutato in modo errato le scelte lavorative e personali dell’ex partner.
Errore nell’applicazione dei criteri normativi
La Corte di Cassazione così adita, in particolare, ha ritenuto che la Corte d’Appello di Trieste, nel riconoscere l’assegno in sede di rinvio, non avesse applicato correttamente l’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio, norma estesa per analogia alle unioni civili. In particolare, i giudici di merito avevano valorizzato soprattutto il profilo assistenziale, senza operare una piena e distinta valutazione anche della funzione compensativo-perequativa, che costituisce parte integrante e non derogabile del giudizio sull’assegno.
Valutazione insufficiente dei sacrifici professionali
Un ulteriore rilievo mosso dalla Suprema Corte riguarda la motivazione lacunosa circa i sacrifici professionali e di carriera affrontati dal partner richiedente. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non aveva adeguatamente chiarito se la precarietà lavorativa e le limitate prospettive occupazionali derivassero da scelte personali autonome o fossero invece la conseguenza di decisioni condivise all’interno della coppia, funzionali alla conduzione della vita familiare. Proprio questo accertamento è essenziale per distinguere tra esigenze meramente assistenziali e quelle che legittimano la funzione compensativa dell’assegno.
Squilibrio economico e contributo familiare non correttamente analizzati
La Cassazione ha inoltre censurato l’analisi svolta dalla Corte territoriale sullo squilibrio economico tra le parti. Sebbene fosse stata accertata la disparità reddituale e patrimoniale, essa non era stata collegata in modo organico ai contributi forniti dal richiedente alla gestione domestica e alla formazione del patrimonio comune o personale dell’altro partner. La Suprema Corte ha ribadito che, quando ricorre la funzione compensativa, l’assegno deve essere parametrato proprio a tali contributi e non soltanto al fabbisogno minimo del beneficiario.
Cassazione con rinvio
Per questi motivi, la Corte di legittimità ha accolto solo in parte il ricorso, cassando la sentenza impugnata e disponendo un nuovo rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione. Spetterà dunque ai giudici di merito riesaminare la posizione delle parti, applicando in modo corretto i principi enunciati:
Nelle conclusioni, la Suprema corte ha enunciato i seguenti principi di diritto, ai quali dovrà attenersi il giudice del rinvio nella propria valutazione:
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